Sull'ultimo numero di Letterate Magazine, la rivista online della Società Italiana delle Letterate, (n. 94, 2014) una recensione di Clotilde Barbarulli (che ringraziamo) a Non si nasce donna. Percorsi testi e contesti del femminismo materialista in Francia (a cura di Sara Garbagnoli e Vincenza Perilli, Alegre / Quaderni Viola, 2013). Prima di lasciarvi alla lettura vi ri-segnaliamo i link delle altre recensioni a Non si nasce pubblicate finora (rispettivamente di Silvia Nugara per Iaph Italia, di Alessandra Pigliaru per Il Manifesto e di Paola Guazzo per il Guazzington Post) che non sono poche per un volume che non è per tutti i palati (anche femministi) ... Buona lettura! //Ai primi di marzo è morta Nicole-Claude Mathieu, femminista lesbica materialista che ha condotto fin dagli anni Settanta un’analisi radicale
antinaturalista dell’eterosessualità intesa come regime politico fondato sulla gerarchia tra i sessi, tra le autrici raccolte nel volume Non si nasce donna.Il
lavoro suo, come quello del gruppo, in Italia è poco conosciuto,
soprattutto per la prevalenza del paradigma della differenza sessuale,
perciò questa ricerca su teoriche che hanno segnato profondamente il
femminismo francese e possono suscitare molti interrogativi, è
importante. Il riferimento di partenza è la celebre frase di Simone de
Beauvoir volta ad indicare che “la donnità è segnata da un ruolo a
lungo subalterno e dal monopolio maschile della tradizione simbolica”.
Le femministe del gruppo, impegnate in un radicale antiessenzialismo, si
sono raccolte nel 1977 intorno alla rivista Questions Féministes
che – contaminata da varie influenze, fra cui il marxismo, la
psicanalisi, le teorie anticoloniali e il movimento afroamericano –
intende mantenere un forte legame fra teoria e “femminismo-movimento”,
tra ”rivoluzione della conoscenza” ; “rivoluzione della realtà sociale”
(Perilli). Colette Guillaumin definisce le analisi delle pensatrici del gruppo
(Christine Delphy, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig )
come una “rimessa in questione delle ‘evidenze’, forma sacralizzata
dell’ideologia” con riferimento al sesso e alla razza che dicotomizzano
lo spazio sociale. Rivisitando il pensiero marxista, analizzano
l’intreccio tra rapporti materiali e di senso nelle relazioni di dominio
da cui nasce la naturalizzazione che s’iscrive efficacemente nei corpi,
nel linguaggio, nelle categorie mentali e istituzionali. In realtà il
sesso e la razza non emergono come un dato, un’essenza, ma come un
marchio (l’equivalente del feticcio marxiano) che nasconde e
cristallizza i presistenti rapporti di dominio e sfruttamento. Le curatrici intendono con questo libro colmare il vuoto esistente in
Italia su tali autrici,come evidenzia la bibliografia allegata, e dar
conto di un paradigma che da dieci anni dialoga con una nuova
generazione di femministe, nell’intreccio con il Black Feminism, gli
studi gay e lesbici, l’approccio queer e gli studi postcoloniali. Allo
scopo offrono articoli inediti in italiano con brevi introduzioni: dal
saggio di Di Cori sull’invenzione statunitense del French Feminism alla
riflessione sul genere di Delphy, dall’antropologia materialista di
Mathieu alla costruzione sociale della disuguaglianza tra i sessi di
Tabet; fino al linguaggio fatto di “parole che ti uccidono” in quanto
veicola l’ordine straight (intreccio delle nozioni di normalità, rettitudine, ordine e eterosessualità) del pensiero per Wittig. Interessante in particolare appare Guillaumin per la sua critica al concetto di differenza
perché nasconde l’ideale secondo cui “tutti appartengono allo stesso
universo, ma in termini di differenti forme dell’essere, per sempre
fissate”, perciò mette in guardia di fronte alla sostanziale ambiguità
del “diritto alla differenza culturale” (1980). Già nel 1972, come
sottolinea Siebert, anticipa sia alcune impostazioni postcoloniali
considerando l’ideologia razzista “una organizzazione percettiva della
individuazione del simile e del differente”, lo “stato cristallizzato di
un immaginario”, sia altre tematiche cruciali, quali i dibattiti tra
posizioni femministe bianche/occidentali e posizioni postcoloniali, tra
femminismo del privilegio e femminismo della “classe delle donne”: negli
odierni processi le conquiste dell’emancipazioni femminile nei paesi
ricchi sono state pagate con lo sfruttamento delle immigrate e
Guillaumin può aiutare; a riflettere ulteriormente sull’uso politico del
concetto di differenza nei movimenti delle donne, nella tensione fra
liberazione individuale e liberazione collettiva per focalizzare la
coscienza di classe. Mathieu, evidenzia Ribeiro Corossacz,; ha studiato le donne come una comunità di oppressione attraversata da altre forme di gerarchizzazione (la classe, l’etnia, la sessualità…) e socialmente percepita come “un gruppo naturale
specifico”. Sottolinea, come Tabet, la vocazione comparativa
dell’antropologa per allargare il senso delle possibilità umane
illustrando modi diversi “per ciò che riguarda la categoria sociologica
di sesso e i rapporti tra i sessi”. Fin dai primi anni Novanta ha
criticato però le correnti queer del femminismo, in particolare
Butler, per il rischio che nascondino le condizioni materiali oggettive
dei rapporti di oppressione delle donne e non indaghino le possibilità
di agire dei soggetti sessualmente minoritari. Verrebbe cioè lasciata
in secondo piano l’organizzazione del sesso sociale che continua a
poggiare sull’oppressione, privilegiando gli aspetti simbolici,
discorsivi e periodici del genere a scapito della realtà materiale e
storica. Se ogni rottura epistemologica richiede un vocabolario nuovo ,e, come
invita Wittig, occorre passare al vaglio ciascuna parola, “scuotere il
linguaggio nel caleidoscopio del mondo, e, nella misura in cui lo si
scuote, operare rivoluzioni nella coscienza” (1992), questo libro
stimola a riflettere anche oggi su teoria, parole, esperienze,
contribuendo a creare “i germi” di una “rivoluzione cognitiva, ovvero
politica”, per non dimenticare mai i rapporti materiali che sottendono
qualsiasi problematica (Clotilde Barbarulli, LetterateMagazine, n. 94, 2014).
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