domenica 15 marzo 2009

Economia politica dello stupro

Di seguito (e tanto per cambiare fuori "tempo") il mio articolo Economia politica dello stupro (che riprende il titolo di un post scritto qui in Marginalia qualche tempo prima) pubblicato sul numero dell'8 marzo del settimanale Umanità Nova, all'interno di un dossier che, se vi siete pers* il numero, potete leggere on line sul sito della rivista.

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Economia politica della stupro

Di fronte agli stupri di queste ultime settimane accompagnati dal vergognoso rito delle strumentalizzazioni in chiave "anti-immigrati" e "sicurezza" (e con il solito contorno di decreti legge urgenti e istituzione di ronde fasciste), mi chiedo se siamo condannate alla ripetizione, una ripetizione oramai logorante e che sembra smentire quel repetita iuvant che tante volte in questi anni mi sono ripetuta (ci siamo ripetute).

Mi chiedo (con molta rabbia e nessuna rassegnazione): quante volte ancora sarà necessario denunciare quella che definisco economia politica dello stupro? Perché, purtroppo, lo sappiamo: la storia non è nuova.

Ne parlava già Angela Davis più di vent’anni fa in Sex, Race and Class, quando denunciava l’uso del “mito dello stupratore nero” nell’America razzista dei linciaggi e della supremazia bianca. Ma forse potrebbe tornarci utile cominciare a ricostruire, anche solo per frammenti, la storia della versione italica del mito.

Il 30 ottobre 2007, a Roma, una donna viene brutalmente aggredita, picchiata e stuprata. La donna, Giovanna Reggiani, morirà, senza riprendere conoscenza, qualche giorno dopo, mentre lo stupratore, Romulus Mailat, sarà in seguito condannato a 29 anni di carcere.

Basta dare un’occhiata ai dati Istat 2007 (che, con variazioni minime, sono validi a tutt’oggi), per avere conferma che questo episodio, seppur terribile, non rappresenta un’eccezione: in Italia, patria dell’amor cortese e del delitto d’onore, milioni di donne sono vittime di gravi violenze fisiche e psicologiche fino all’omicidio e circa 200 al giorno sono gli stupri (o tentati stupri) che si consumano nell’assordante silenzio e indifferenza dei media mainstream e dei poteri pubblici e politici.

Eppure intorno a questa vicenda si scatena immediatamente un’imponente campagna mediatica e politica che dura molte settimane, al punto che il nome di Giovanna Reggiani (insieme forse a quello di Hina Salem) diviene uno dei pochi nomi di donne vittime di violenza sessuale entrati nella memoria collettiva. Non credo sia superfluo chiedersi perché.

La risposta è brutale: a differenza di centinaia di altri episodi che non hanno meritato neanche un trafiletto, questo ha come “protagonisti” un uomo e una donna dalla “pelle giusta”, per dirla con il titolo di un libro di Paola Tabet. Giovanna Reggiani è la vittima perfetta (italiana, moglie e lavoratrice esemplare, tra l’altro attiva nel volontariato cattolico) così come Romulus Mailat è lo stupratore perfetto: è nel “nostro” paese illegalmente, vive in una baracca sepolto dall’immondizia, dedito al furto, è un cittadino rumeno di etnia rom, o meglio (o forse, strumentalmente, soprattutto) un “romeno” come viene prontamente ribattezzato dalla maggior parte della stampa (che svela profonda ignoranza: perché se molti rom hanno la cittadinanza rumena, ve ne sono anche di macedoni, kosovari e serbi ma la maggioranza dei rom è costituita da italiani, proprio come le vittime dell’assalto compiuto dalla cosiddetta Banda della Uno Bianca al campo nomadi di via Gobetti).

E’ quanto serve (e basta) a riattivare ancora una volta (e in grande stile) “l’ equazione sciagurata tra violentatore e immigrato”, equazione già denunciata l’anno precedente a Bologna dalle donne migranti durante una manifestazione contro la violenza sulle donne. Un fatto di cronaca, simile a centinaia di altri altrimenti passati sotto silenzio, viene preso a pretesto per scatenare una campagna politica (ignobilmente sostenuta dalla grande maggioranza degli organi di stampa) contro “lo straniero stupratore”.

Il guadagno che si ricava dall’operazione è doppio. Da una parte si fomenta, agitando uno dei fantasmi più tenaci di un certo immaginario in specie maschile, il razzismo mai sopito degli italiani brava gente (in un clima di isteria collettiva c’è anche chi assalta con bombe molotov dei campi rom in diverse città italiane) e un allarme sociale che permette di varare decreti d’urgenza contro i/le “clandestin*”. Dall’altra (e concordemente), amplificando ad arte la percezione del rischio stupro da parte di sconosciuti (stranieri) si trasforma la violenza sulle donne in un problema di “ordine pubblico”, in una questione di sicurezza e di controllo del territorio.

E questo nonostante i dati mostrino che solo il 10% delle violenze sulle donne è commesso da stranieri e solo il 6% da estranei (ancora dati Istat 2007), mentre la maggior parte avviene tra quelle che vengono (impropriamente) definite "pareti domestiche" ad opera di uomini perfettamente conosciuti dalle vittime. Questi sono per la maggior parte italiani, in primis mariti e amanti (in specie se “ex”) e parentame vario, ma anche datori di lavoro, insegnanti, medici, preti e tutori dell'ordine (in questi casi quasi esclusivamente italiani).

Nella grande manifestazione contro la violenza maschile sulle donne tenuta a Roma a qualche mese dalla morte di Giovanna Reggiani, avevamo ribadito in maniera forte e chiara la nostra volontà di non essere strumentalizzate per fomentare il cosiddetto scontro di civiltà e giustificare la deriva securitaria in atto e pratiche sempre più autoritarie e lesive della libertà di tutti e tutte e in particolare proprio di quei soggetti che si vorrebbero "tutelare", cioè noi "donne" (e tra queste in particolare le migranti). Sappiamo che la violenza contro le donne non ha confini geografici, né di cultura o religione ma è l’espressione di un violento rapporto di potere (che è sociale, politico ed economico) esercitato dagli uomini (non come categoria “naturale”, ma “sociale”: “bianchi”, eterosessuali, borghesi, cattolici …) sulle donne. È questo rapporto che va denunciato, combattuto e distrutto. Ma il suo smantellamento non sarà possibile senza affrontare la prova, difficile ed urgente, di nuove forme di articolazione delle lotte antisessiste ed antirazziste.

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10 commenti:

Anonimo ha detto...

Bellissimo articolo, lo riprendo su No(b)logo.

Anonimo ha detto...

Non tutti i cristiani sono cattolici in Italia, facciamo attenzione a questo. Govanna Reggiani non era cattolica, era valdese e svolgeva volontariato con i ragazzi nella comunità valdese di Piazza Cavour a Roma. E la sua famiglia prese immediatamente le distanze dalle strumentalizzazioni della sua morte.
ciao, Patrizia

Anonimo ha detto...

L'economia politica dello stupro rientra, purtroppo, nel ben più vasto e infame mercato della paura che, sfortunatamente, ha nell'informazione odierna (che dovrebbe "proteggerci" dagli estremismi) uno dei suoi più entusiasti sponsor

Anonimo ha detto...

L'economia politica dello stupro rientra, purtroppo, nel ben più vasto e infame mercato della paura che, sfortunatamente, ha nell'informazione odierna (che dovrebbe "proteggerci" dagli estremismi) uno dei suoi più entusiasti sponsor

Anonimo ha detto...

L'economia politica dello stupro rientra, purtroppo, nel ben più vasto e infame mercato della paura che, sfortunatamente, ha nell'informazione odierna (che dovrebbe "proteggerci" dagli estremismi) uno dei suoi più entusiasti sponsor

Anonimo ha detto...

Scusa per il pasticcio... mi si era incastrato il tastino...

Anonimo ha detto...

Per Noblogo: grazie davvero

Per Patrizia: carissima, hai perfettamente ragione: Giovanna Reggiani era di fede valdese, mentre il marito era cattolico. Se (come credo) ritornerò sull'argomento specificherò meglio questa questione. Nella stesura dell'articolo sono andata a "memoria" senza rileggere la rassegna stampa del periodo, dove si era molto insistito sulla "fede" di questa donna, la frequentazione delle chiesa e il suo impegno nell'insegnamento del catechismo ...Ieri sera dopo la lettura del tuo commento ho rivisto un po' la rassegna stampa, i funerali con rito ecumenico valdese/cattolico, le iniziative comuni di valdesi, cattolici e ortodossi (cristiani) in suo ricordo eccetera. Credo che mi aiuteranno, anche a partire dalla mia "amalgama" (o nonostante questa), a meglio specificare come l'elemento "religione" sia usato strumentalmente in questi casi. Soprattutto se lo metti in relazione ai tipi di discorso prodotti dai media quando la religione è, ad esempio, quella musulmana (ne ho parlato qui lo scorso anno, a partire dallo stupro di una ragazzina di origine nordafricana). E questo indipendentemente dalla volontà della vittima o dei suoi familiari Ricordo bene che la famiglia aveva preso le distanze dalle strumentalizzazioni in chiave razzista e securitaria, è avvenuto anche recentemente per uno stupro qui a Bologna, ma il mio bersaglio sono appunto le strumentalizzazioni e sono queste che metto in discussione. In questi termini mi sembra poco rilevante. Mi sbaglio?

Per Lodovico il Moro: grazie del commento e ti perdono del pasticcio ;-)

Anonimo ha detto...

Cara Vincenza, secondo me mettere in luce che la Reggiani appartenesse a una minoranza e che la sua famiglia si sia discostata dalle strumentalizzazioni razziste è rilevante. E' importante sottolinerare ogni volta non scatta la reazione di chiusura delle vittime nell'identità del proprio gruppo famigliare, etnico o religioso. Facciamo bene a segnalarlo perchè e' una breccia che si apre nelle semplificazioni. E' il caso della famiglia Reggiani, ma anche della famiglia Bonsu di Parma, di come ha reagito pubblicamente di fronte al pestaggio e al dileggio del figlio da parte dei vigili. Questo tipo di reazione delle vittime del razzismo o della violenza femminicida toglie legittimità all'uso politico di chi vuole parlare a nome loro e nello stesso tempo supera lo schema della chiusura comunitaristica della vittima nel proprio gruppo di appartenenza. Mi sembra che non rilevarlo quando si discute di casi come quello della Reggiani sia come negare il significato di gesti importanti di chi ha subito un torto, sia come ridurre la complessità, ricacciarla in un uno schema prefissato, quello della vittima usabile dalla propaganda mediatica.
Non so se sono stata chiara, forse no..
ciao, Patrizia

Anonimo ha detto...

Carissima Patrizia, sei stata chiarissima e capisco bene l'importanza di quanto sottolinei. Da parte mia non ho "visto" la cosa da questo punto di vista (quello della "resistenza" delle vittime, che pure è un elemento che ritengo importante), non per negarne l'importanza ma perché il problema per me (anche nell'economia imposta di un articoletto di poco più di tremila battute) era in questa congiuntura specifica altro, e cioè l'uso politico(che è disgraziatamente indipendente dalla volontà delle vittime)che si fa di episodi di questo tipo. Ma ti ringrazio tanto comunque di aver sollevato il problema, mi aiuterà sicuramente a dare maggiore spessore alle mie riflessioni in futuro. E ti sarei grata se trovassimo il tempo di discutere insieme anche dell'elemento "minoranza", che in questo caso specifico (la religione valdese della vittima) mi pone qualche difficoltà.
Grazie ancora davvero e un abbraccio

Anonimo ha detto...

Molto volentieri! Ammiro la tua capacità di metterti in discussione. Un abbraccio, Patrizia