Vincenza Perilli, La vita di una rivista unica, p. 109.
La rivista Sexe et Race: discours et formes nouvelles d’exclusion du XIXe au XXe siècle che, lungo i due ultimi decenni, ha riprodotto il lavoro svolto nel seminario che le dà nome, tenuto all’università di Paris 7–Denis Diderot, ha cessato le sue pubblicazioni nel 1999. Sexe et Race, come emerge dagli indici che qui pubblichiamo in appendice, si è orientata fin dall’inizio verso quattro grandi assi: biopolitica ed eugenetica; nazionalismi e fascismi; razzismo e antisemitismo; donne, femminismi e antifemminismo. La rivista ha analizzato i discorsi e le forme di esclusione ed emarginazione che si sono sviluppate negli ultimi due secoli nelle società europee, soprattutto rispetto alle donne e alle minoranze etniche, per “esplorare ed esplicitare i rapporti, complessi e mobili, tra le rappresentazioni della differenza dei sessi e quelle delle differenze o gerarchie etniche (di ‘razza’), così come la loro funzione nella costruzione dei discorsi e delle modalità nuove (o classiche) di dominazione ed esclusione”, evitando “le impasse dell’amalgama, della confusione, o della semplice giustapposizione”[1]. Il merito principale di Sexe et Race “è precisamente quello di aver saputo porre e di continuare a porre queste questioni, talvolta così scomode per la storia delle nostre società, ma così fondamentali per cercare di comprenderne il funzionamento passato e presente”[2]. Il seminario e la rivista non sarebbero stati possibili, né probabilmente pensabili, senza l’attività e l’impegno di Rita Thalmann, germanista e storica, che li ha diretti e animati, facendone il luogo di elaborazione teorica delle grandi cause per cui si è battuta, dentro e fuori dall’università, da una vita[3]. In questo saggio per Razzismo & Modernità, Thalmann ricostruisce il contesto che ha permesso, ma anche reso necessaria, l’esistenza di Sexe et Race, un’esperienza che ha inaugurato e promosso linee di ricerca tuttora attive e per nulla esaurite.
[1] “Pour Rita Thalmann”, introduzione a Liliane Kandel (a cura di), Féminismes et nazisme, en hommage à Rita Thalmann, Publications de l’Université Paris VII-Denis Diderot, Paris, 1997, p. 7.
[2] Marie-Claire Hoock- Demarle, “Avant-propos”, in Sexe et Race: discours et formes nouvelles d’exclusion du XIXe au XXe siècle, n. 11, 1999, p. 5.
[3] Si veda l’introduzione a Liliane Crips, Michel Cullin, Nicole Gabriel, Fritz Tauber (a cura di), Nationalismes, fèminismes, exclusions. Mèlanges en honneur de Rita Thalmann, Frankfurt/Main, Peter Lang, 1994, pp. 9-16. Il volume presenta in appendice una bibliografia – per quanto incompleta e ovviamente oramai datata -, delle principali opere di Rita Thalmann.
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Rita Thalmann, “Sexe et Race: discours et formes nouvelles d’exclusion du XIXe au XXe siècle”, pp. 110-117
Non si deve al caso se il nostro seminario Sexe et Race: discours et formes nouvelles d’exclusion du XIXe au XXe siècle, associato dal 1984 fino alla sua chiusura nel 1998 al laboratorio “Societés Occidentales” dell’università di Paris VII – Denis Diderot, è nato dalla constatazione di una insufficiente presa di coscienza tra gli universitari francesi dell’emergenza delle correnti negazioniste e relativiste. Risultava in effetti evidente che l’azione, essenzialmente giudiziaria, delle associazioni di deportati antirazzisti – in origine, le sole a combattere queste correnti ‑, non poteva sostituirsi all’azione preventiva fondata sulla conoscenza delle origini del razzismo e dell’antisemitismo sfociati nella biopolitica del Terzo Reich e nel genocidio nazista degli ebrei, impropriamente chiamato “Olocausto”, problematica centrale delle tesi negazioniste e relativiste.
Beneficiando di un’ampia cooperazione pluridisciplinare estesa ad altre istituzioni scientifiche (Cnrs, Inserm, Ehess, Iep, Bdic, Cdjc[1]), l’Università di Paris 7 offriva da questo punto di vista un quadro particolarmente appropriato. Come testimoniano gli undici volumi pubblicati, il seminario si è dapprima rivolto allo studio comparato dell’evoluzione delle tesi razziali nelle società occidentali e della loro applicazione alla gerarchizzazione dei gruppi umani in continuità col lavoro di Léon Poliakov, aggiungendovi tuttavia quello dell’esclusione socioculturale delle donne, a proposito del quale la nostra università ha giocato, segnatamente grazie a Michelle Perrot e al Cedref (Centre d’enseignement, de recherche et de documentation pour les études féministes) un ruolo precursore.
Questo significa che il tema Sexe et Race: discours et formes nouvelles d’exclusion du XIXe au XXe siècle non deve nulla alla moda relativamente recente del “dovere di memoria”, poiché s’inscrive in un lavoro di ricerca e di trasmissione dei saperi sulla problematica delle continuità e discontinuità di una crisi identitaria sopravvenuta nel corso del XIX secolo, nel contesto della crisi della modernità che conduce all’ascesa dei fascismi fino al parossismo del nazismo, per risorgere in un mondo in cui la perdita di riferimenti favorisce nuovamente lo sviluppo dei nazionalismi e, conseguentemente, la riscrittura di una storia asservita a fini ideologico-politici. Questioni troppo a lungo ignorate dai politici, quando costituiscono uno dei fondamenti dell’avvenire della pace e della democrazia in un’Europa in corso di unificazione e, oltre, della sicurezza mondiale.
Sebbene esistano differenze non trascurabili tra la relativizzazione e il negazionismo – che, malgrado la sua pretesa di incarnare una “storia revisionista” come parte integrante della ricerca scientifica e dell’insegnamento a tutti i livelli, resta l’emanazione di una minoranza eterogenea che mira a negare l’esistenza del genocidio nazista degli ebrei, della quale Valérie Igounet[2] ha descritto la traiettoria e le poste in gioco –, queste due correnti rivelano almeno due aspetti comuni: da una parte la volontà di sgravare la memoria collettiva dal fardello del nazismo in generale e dello sterminio degli ebrei d’Europa in particolare e, dall’altra, l’estensione geografica. In particolare nei paesi dell’Europa dell’Est dopo la caduta del Muro e il crollo della dominazione comunista, così come, più recentemente, nei paesi arabi che cercano di delegittimare l’esistenza dello Stato d’Israele.
Il negazionismo – amalgama grossolano di stereotipi e miti giudeofobi che vanno dall’antigiudaismo cristiano all’antisemitismo riattivato dal conflitto in Medio Oriente, passando per l’estrema destra razzista e antisemita –, benché nato in Francia, non trovandovi udienza, cerca dapprima l’appoggio degli àmbiti neonazisti della Rft e dell’Austria.
Impresa proseguita, dopo Maurice Bardèche e Paul Rassinier, da Robert Faurisson che tenta vanamente di ottenere, nel 1974, la cauzione scientifica di Martin Broszat, esperto riconosciuto della storia del nazional-socialismo, direttore all’epoca dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco. Non è che cinque anni più tardi che l’offensiva negazionista, estesa nel frattempo ai paesi anglosassoni e scandinavi, attira l’attenzione degli ambienti universitari francesi che, salvo rare eccezioni, non erano affatto preoccupati del fenomeno e dei singolari seminari di “critica letteraria” di Robert Faurisson all’Università di Lyon II. In effetti è solo dopo i primi interventi pubblici di quest’ultimo che un certo numero di storici denunciano quest’impresa di falsificazione[3]. Anche se, eccetto David Irving, il negazionismo non ha trovato dei relè tra gli storici, i suoi tentativi di infiltrazione negli ambiti universitari – come rileva Alain Devaquet, ministro dell’educazione, in occasione di una tavola rotonda al Centre Rachi a Parigi[4], a proposito del dossier dell’ affaire Roques[5] –, incontrano connivenze che oltrepassano le università di Lyon II, Lyon III e Nantes. Nell’affaire Roques, così come nei successivi – ancora recentemente nell’affaire Plantin[6] –, possiamo constatare una mancanza di vigilanza e silenzi che spiegano le reazioni spesso tardive, o addirittura inesistenti, delle istanze scientifiche. Attitudine preoccupante, nella misura in cui questa corrente cerca di far presa su giovani menti vulnerabili, anche attraverso lo sviluppo delle sue pubblicazioni e di 4300 siti razzisti e antisemiti accessibili oggi in Francia.
All’inverso del negazionismo, la corrente relativista, nata nella seconda metà degli anni Settanta da una presa di posizione del professor Broszat in favore di una storicizzazione del periodo del Terzo Reich, è stata strumentalizzata dieci anni più tardi nella Rft, a partire da un articolo del filosofo-storico Ernst Nolte che, già in precedenza, passava per l’enfant terribile della corporazione. Conviene precisare che la sua argomentazione mirante a relativizzare il nazismo in generale e il genocidio nazista degli ebrei come una reazione difensiva al pericolo del “giudeo-bolscevismo” era già stata pubblicata nel
Apparentemente acquietato dopo le vive reazioni, per interposti media, di sociologi poi di rinomati storici tedeschi legati alla democrazia costituzionale, che rifiutano questa appropriazione ideologico-politica della storia – rifiuto sostenuto fuori dalla Rft da specialisti della storia del nazismo[10] – il dibattito riprende forza,dopo la caduta del Muro, in Europa centrale e orientale. Fondandosi sulle tesi di Nolte, la storiografia relativista-revisionista di questi paesi tendeva a minimizzare la collaborazione con il Terzo Reich e a riabilitare nello stesso tempo le élite nazionali. Questa corrente troverà un insperato sostegno nella nozione di “olocausto rosso”e nell’arringa per una “Norimberga del comunismo” esposta da Stéphane Courtois nel capitolo introduttivo al Livre noir du communisme[11]. Quest’opera collettiva – la cui introduzione è tuttavia ricusata da alcuni degli autori –, pubblicata in Francia nel 1997, conosce una grande diffusione e risonanza nelle società ossessionate dalla riconquista di una fierezza nazionale macchiata dalla compromissione con il nazismo e dai successivi decenni di dittatura comunista[12].
Ad eccezione della Repubblica ceca, dove Vaclav Havel fu il primo, dal
In questo caso, come in quelli, fino ad oggi meno esplorati, dei paesi baltici o della storiografia della Germania dell’Est dopo la “svolta”, il problema della storicizzazione è legato al trattamento degli archivi. Trattamento variabile in funzione della ricostruzione identitaria. Allorché in Romania un buon numero di storici, appellandosi agli svariati ostacoli all’accesso agli archivi dei periodi relativi, procedono a una riscrittura che esonera questo paese da ogni responsabilità nella persecuzione e nello sterminio di circa 200.000 ebrei rumeni durante l’alleanza con il Terzo Reich, il periodo comunista è presentato di volta in volta come un martirio collettivo del popolo rumeno e l’espressione di una minoranza d’origine etnicamente “straniera” (ebrei, zingari, ungheresi). Le vittime diventano i complici. I complici, le vittime.
Nella Germania dell’Est, al contrario, la massa degli archivi dell’ex Rdt, aperti dopo la caduta del regime, testimonia una volontà di rottura e di stigmatizzazione senza ledere la storiografia della vecchia Rft. Come se, per il solo fatto di questa stigmatizzazione, fosse provata la superiorità del modello democratico liberale della Germania dell’Ovest. Tanto più che gli storici più influenti, tra i quali quelli che dirigono gli istituti specializzati, sono tutti della Germania occidentale. Nondimeno, gli archivi del periodo nazista conservati nella Rdt e nell’Europa dell’Est hanno permesso di precisarne la specificità, svilita dai relativisti, in rapporto alla “seconda dittatura” dell’ex Rdt, ridotta ad una “dittatura senza popolo”, al contrario del nazismo, “dittatura con il popolo”. Tuttavia – e su questo punto lo storico francese Etienne François concorda con il suo collega tedesco Christian Maier – si deve constatare il contrasto flagrante tra il modo in cui la società e gli storici della Germania occidentale hanno reagito agli sconvolgimenti del 1989-90, la vivacità delle messe in causa, la precocità di una storicizzazione della Rdt e la lentezza del dibattito di fondo sul nazismo e il passato tedesco dopo il 1945.
Questa lentezza e queste reticenze sono state oggetto del vivo dibattito seguito alle comunicazioni – a un colloquio dell’ottobre 2000 all’università di Paris VII – di Odile Krakovitch e Caroline Piketty sulla “liberalizzazione” degli archivi francesi. Battaglia che una minoranza di noi porta avanti da anni[13] che ha certo portato ad una pratica meno restrittiva delle deroghe, senza sfociare tuttavia nella legge promessa dal primo Ministro. Legge che doveva ispirarsi al rapporto Braibant[14] del 1996, che preconizzava tra l’altro la riduzione del lasso di tempo interposto tra la data di un documento e la sua accessibilità – nettamente più lungo che in altre democrazie –, e l’istituzione di una reale trasparenza, ciò che avrebbe il vantaggio di porre fine alla pratica del segreto e della ritenzione, che prevale da secoli in Francia. Si favorirebbe così la ricerca storica, permettendo di chiarire più facilmente le zone d’ombra e di decostruire i miti che contribuiscono alla perturbazione della memoria collettiva.
Questo fenomeno fu ugualmente a lungo percepibile nella storia delle donne che non si sviluppa in Francia che all’inizio degli anni Ottanta. Fino a questa data non si contano che da uno a 370 nomi di donne negli indici delle persone citate nelle opere storiche. Non è che a partire dal colloquio Femmes. Féminisme. Recherche – organizzato nel 1983 all’università di Toulouse-Le Mirail con il sostegno del ministero francese della ricerca e di 800 ricercatrici femministe –, che la storia delle donne riceve progressivamente uno statuto universitario. Se bisogna attendere gli anni Novanta per la pubblicazione di una Histoire des femmes en Occident e di una Histoire politique des femmes[15] , in un primo tempo la maggioranza delle ricerche storiche si concentrano sulla Francia. In questo senso il Cedref dell’università di Paris 7 e la nostra équipe Sexe et Race: discours et formes nouvelles d’exclusion du XIXe au XXe siècle – nata nel 1980 all’Università di Tours e trasferita nel 1984 all’università Paris 7 – costituisce fin dall’inizio un’eccezione. Eccezione nel suo interessarsi alla storia comparata delle donne di altri paesi nel caso del Cedref. Eccezione per la nostra équipe nell’introdurre le tematiche dei fascismi e dei razzismi in collaborazione con
Queste opere mostrano la diversità delle reazioni delle donne confrontate all’ascesa dei fascismi e del razzismo nel mondo occidentale. Diversità ugualmente messa in luce nel nostro seminario Sexe et Race. Discours et formes nouvelles d’exclusion du XIXe au XXe siècle e negli articoli pubblicati negli 11 volumi della rivista omonima dall’università di Paris 7 - Denis Diderot, università in cui si sono formate delle dottorande ormai al lavoro in diverse università francesi. Françoise Thébaud ad Avignone, ha organizzato con Jolande Cohen (storica all’università di Québec-Montreal) un colloquio su Féminismes et identités nationales (Propane Rhône-Alpes de recherche en Sciences humaines, maggio 1998). Sabine Zeitour, autrice di una tesi sull’Œuvre de Secours aux enfants (OSE) durante l’Occupazione, ha pubblicato due opere su questo soggetto[19], per poi dirigere il Centre d’Histoire de
Questo genere di studi si è sviluppato durante gli ultimi anni. Ma, nonostante alcuni contributi sulla storia delle donne nella Francia degli anni 1940-45, manca ancora una storia globale delle donne durante Vichy e il nostro seminario Sexe et Race. Discours et formes nouvelles d’exclusion du XIXe au XXe siècle interrotto dopo il mio pensionamento, non è stato ripreso da nessuna università francese (Traduzione e cura di Vincenza Perilli).
[1] Centre national de la recherche scientifique, Institut national de la santé et de la recherche médicale, École des Hautes Études en Sciences Sociales, Institut d’études politiques, Bibliothèque de documentation internationale contemporaine, Centre de documentation juive contemporaine.
[2] Valérie Igounet, Histoire du négationnisme en France, Paris, Le Seuil, 2000; si veda inoltre Pierre Vidal-Naquet, Les assassins de la mémoire, Paris,
[3] Segnatamente: “La politique hitlérienne d’extermination. Une déclaration d’historiens”, in Le Monde, 21 febbraio 1979; Nadine Fresco, “Les redresseurs de morts. Chambres à gaz. La bonne nouvelle. Comment on révise l’histoire”, in Les Temps modernes, n. 407, giugno 1980, pp. 2150-2211; le pubblicazioni degli anni Ottanta di Pierre Vidal-Naquet raccolte in Les assassins de la mémoire, cit. e la messa a punto di François Bédarida, Le nazisme et le génocide. Histoire et enjeux, Paris, Nathan, 1989.
[4] Il Centre Rachi-Cuej, Centre universitaire d’études juives, fondato nel 1973 (NdT).
[5] Il 15 giugno 1985, Henri Roques sostiene una tesi di dottorato all’università di Nantes, in una sala affollata da circa quaranta persone, tra le quali Robert Faurisson e Pierre Guillaume. La tesi, un esercizio di critica negazionista sulle diverse versioni del noto “rapporto Gerstein”, ottiene un “très bien” da una commissione composta, tra l’altro, da due esponenti della Nouvelle droite: Jean-Claude Rivière (uno dei fondatori del Grece e membro del comitato di redazione di Nouvelle École) e Jean-Paul Allard (collaboratore di Études et Recherches, rivista teorica del Grece e vicepresidente, nel 1977, del circolo Galilée del Grece a Lione, dove animava colloqui con Alain de Benoist). Innescato dalla propaganda del giornale di estrema destra Rivarol e degli ambienti della Vieille Taupe, l’affaire Roques, da una parte ha offerto un’ennesima occasione di visibilità mediatica al negazionismo e, dall’altra, ha sollevato il rilevante problema delle connivenze accademiche, non esaurito dall’annullamento della tesi per “irregolarità amministrative”. Per una dettagliata ricostruzione, si veda Valérie Igounet, Histoire du négationnisme en France, cit., in particolare pp. 408-421 (NdT).
[6] Nel 1990, Jean Plantin si laurea con un “très bien” in Storia all’università di Lyon III, con una tesi consacrata a “Paul Rassinier, socialista, pacifista, revisionista”. L’anno successivo, consegue un Dea (Diplôme d’études approfondis) all’università di Lyon II, con un mémoire su “Le epidemie di tifo nei campi di concentramento nazisti”. Questi riconoscimenti accademici non pongono problema se non nel 1999, quando Plantin, in qualità di direttore della rivista negazionista Akribeia, viene processato e condannato per “contestazione di crimini contro l’umanità”. Il caso, anche grazie alla forte mobilitazione di movimenti e associazioni di lotta contro il razzismo, l’antisemitismo e l’estrema destra, ha rilanciato con forza la questione della responsabilità delle istituzioni universitarie (NdT).
[7] Ernst Nolte, “Between myth and revisionism? The Third Reich in the perspective of 1980s”, in H. W. Koch (a cura di), Aspects of the Third Reich,
[8] L’articolo di Nolte, “Vergangenheit die nicht vergehen will”, è pubblicato in traduzione italiana in G. E. Rusconi (a cura di), Germania un passato che non passa. I crimini nazisti e l’identità tedesca, Einaudi, Torino, 1987, pp. 3-10.
[9] Hilfsgemeinschaft auf Gegenseitigkeit der ehemaligen Angehörigen der Waffen-SS, fondata all’inizio degli anni Cinquanta (NdT).
[10] Philippe Burrin, Saül Friedländer, Rita Thalmann, “L’Allemagne, le Nazisme et les Juifs”, in Vingtième siècle, ottobre-dicembre 1987, pp. 31-65; Ian Kershaw, The Nazi Dictatorship. Problems and Perspectives of interpretation, London, Arnold, 1985.
[11] Stéphane Courtois (et al.), Livre noir du communisme, Paris, Robert Laffont, 1997; tr. it. Il libro nero del comunismo. Crimini, terrore, repressione, Milano, Mondadori, 1998.
[12] Henry Rousso (a cura di), Stalinisme et Nazisme. Histoire et mémoire comparées, Bruxelles-Paris, Complexe, 1999.
[13] Sonia Combe, Archives interdites. Les peurs françaises face à l’histoire contemporaine, Paris, Albin Michel, 1994.
[14] Nel marzo 1995, il Primo Ministro francese Edouard Balladour domanda a Guy Braibant, presidente alla sezione onoraria del consiglio di Stato, di redigere un bilancio della legge n. 79-18 del 3 gennaio 1979 sugli archivi. Il 28 maggio 1996, Braibant rimette il suo rapporto in cui pone l’accento sulle eccessive restrizioni alla consultazione degli archivi in Francia rispetto ad altri paesi. Basti qui ricordare che la vecchia legge prevedeva un lasso di 30 anni per gli archivi pubblici, anni che diventavano 60 per i documenti concernenti segreti di Stato, della Difesa o dell’ordine pubblico, fino a 120 anni per i dossier personali e medici (NdT).
[15] Georges Duby e Michelle Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente. Dall’Antichità ai nostri giorni, 5 voll., Roma-Bari, Laterza, 1991; Christine Fauré (a cura di) Encyclopédie politique et historique des femmes. Europe et Amérique du Nord, Paris, P.U.F, 1997.
[16] Internationale wissenschaftliche Frauenforschung.
[17] Rita Thalmann (a cura di) Femmes et fascismes, Paris, éd. Tierce, 1986; Rita Thalmann (a cura di) La tentation nazionaliste 1914-1945, Paris, éd. Deux temps-Tierce, 1990; Leonore Siegele-Wenschkewitz e Gerda Stuchlik, Frauen und Faschismus in Europa, Pfaffenweiler, Centaurus, 1990.
[18] Liliane Kandel (a cura di), Féminisme et nazisme, cit. ; Marie-Claire Hoock-Demarle (a cura di), Femmes. Nation. Europe, Publications Université Paris 7 – Denis Diderot, 1995.
[19] Sabine Zeitourn, Ces enfants qu’il fallait sauver, Paris, Albin Michel, 1999 e, della stessa autrice, L’œuvre de secours aux enfants sous l’occupation en France, Paris, L’Harmattan, 1999, entrambi con prefazione di Serge Klarsfeld.
[20] Christine Bard, Les filles de Marianne. Histoire des féminismes en France 1914-1940, Paris, Fayard, 1995 e, a cura della stessa autrice, Un siècle d’antiféminisme en France, Paris, Fayard, 1999, prefazione di Michelle Perrot.
[21] Claudie Lesselier e Fiammetta Venner (a cura di), L’extrême droite et les femmes, Paris, Golias, 1997.
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Indici di Sexe et race (1986-1999), pp. 118-123
N° 1, 1986
Pierre Thuiller, “Darwinisme et discours raciste”, pp. 1-13.
Colette Guillaumin, “Identité discursive entre toutes les formes de naturalisme et biologisme”, pp. 14-23.
Jean- Pierre Hammer, “Les fondements du XIXe siècle de Houston Steward Chamberlain”, pp. 24-48.
Nicole Gabriel-Amatulli, “Nature et rôle des femmes dans la social-démocratie allemande”, pp. 49-70.
Liliane Crips, “Entre maternité et modernité : la femme au temps des années folles en Allemagne”, pp. 71-82.
Marianne Walle, “Darwinisme social et discours de femmes sur la ‘vocation naturelle’ dans le cadre du Bund Deutscher Frauenvereine (B.D.F)”, pp. 83-99.
Rita Thalmann, “Alfred Rosenberg: ‘le mythe du XXe siècle’”, pp. 100-113.
Barbara Vormeier, “Le discours juridique dans la pratique de l’exclusion nazie en 1933”, pp. 114-132.
N° 2, 1987
André Bejin, “Le darwinisme social de Francis Galton, Karl Pearson et Georges Vacher de Lapouge”, pp. 3-24
Otmar Kòeinebrel, “Alexander Tille: le service du peuple d’un aristocrate social”, pp. 25-35.
Jacques Le Rider, “Le cas Otto Weininger”, pp. 37-65.
Rita Thalmann, “Le protestantisme synchrétique sous le IIIe Reich”, pp. 67-87.
Nicole Gabriel, “Démographie et antimilitarisme à l’époque du Kaiser”, pp. 89-114.
Liliane Crips,“Magnus Hirschfeld (1868-1935), un eugéniste social-démocrate”, pp. 115-134.
Christina Ottomeyer-Hervieu, “Les préliminaires de l’eugénisme (1870-1929) et le mouvement international d’eugénique”, pp. 99-116.
N° 3, 1988
Pierre Thuiller, “A propos de quelques travaux récents sur le darwinisme social”, pp. 3-11.
Pierre-André Taguieff, “Théorie des races et biopolitique sélectionniste en France. Aspects de l’œuvre de Vacher de Lapougue (1854-1936). (I)”, pp. 12-60.
Till Meyer, “La ‘Philosophie biologique’ de Ernst Haeckel”, pp. 62-78.
Marianne Walle, “Le National-Féminisme en Allemagne pendant la Première Guerre mondiale”, pp. 79-98.
Liliane Crips, “Essai d’analyse institutionnelle du racisme biologique: le cas de la ‘société allemande d’hygiène raciale’, de sa fondation, en 1905, aux débuts du Troisième Reich”, pp. 117-130.
Nicole Gabriel, “Matriarcat et utopie: Otto Gross, psychanalyste (1877-1920)”, pp. 131-155.
Noëlle Bisseret-Moreau, “Alexis Carrel et la ‘Fondation Française pour l’étude des problèmes humains’ (1941-1945)”, pp.156-174.
Rita Thalmann, “Des deutsche Christen à la foi allemande: la révolution ‘chrétienne’ (1919-1933)”, pp. 175-188.
Jean- Pierre Hammer, “Le paragraphe 175 ou l’homosexualité en Allemagne de 1869 à 1986”, pp. 189-207.
N° 4, 1989
Pierre-André Taguieff, “Théorie des races et biopolitique sélectionniste en France. Aspects de l’œuvre de Vacher de Lapougue (1854-1936). (II)”, pp. 3-33.
Liliane Crips, “Eugen Fischer : L’anthropologie inégalitaire”, pp. 35-63
Noëlle Bisseret-Moreau, “La baisse de la natalité dans les pays occidentaux : un objet pseudo-scientifique”, pp. 65-103.
Pia Le Moal, “Les médecins et l’eugénisme sous le IIIe Reich”, pp. 105-119.
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Michel Veuille, “La sociobiologie, déterminisme biologique contemporain”, pp. 145-162.
Annick Lantenois, “Expression picturale du racisme national-socialiste”, pp. 163-181.
Gaëtane Mogica, “Aspects juridiques de la discrimination des femmes et des enfants en RFA”, pp. 183-201.
Liliane Kandel, “Quelques paradoxes de la réflexion féministe concernant le Troisième Reich”, pp.203-228.
N° 5, 1990
Etienne Balibar, “Racisme et sexisme”, pp. 3-8.
Yves Aouate, “Édouard Drumont revisité : aspects évolutifs et méconnus de son œuvre”, pp. 9-30.
Marc Knobel, “De l’étude des noms et des Juifs à l’école d’anthropologie et chez Georges Montandon”, pp. 31-67.
Claire Auzias, “National-sozialismus versus révolution française”, pp. 67-72.
Nicole Gabriel, “Alfred Rosenberg: pour en finir avec le mythe du XIXe siècle. 1789 revu et corrigé par l’idéologie national-socialiste”, pp. 73-98.
Jean Christophe Concavela, “L’évolution de la théorie psychiatrique en Allemagne 1870-1933”, pp. 99-118.
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Maria Pia Di Bella, “Les conceptions racistes dans l’ethnologie italienne: 1876-1942”, pp. 173-193.
Liliane Crips,“Du féminisme comme décadence : le discours sur les femmes des droites conservatrices et révolutionnaires sous la République de Weimar et le IIIe Reich”, pp. 195-211.
F. Taubert, “Stéréotypes sur l’Allemagne dans la presse de la gauche française des années 30”, pp. 213-225.
Ruth Wodak, “Le discours antijuif dans l’Autriche actuelle”, pp. 227-253.
N° 6, 1991
Pierre-André Taguieff, “Réaction identitaire et communauté imaginée : Sur la production contemporaine du nationalisme”, pp. 3-38.
Jean Christophe Coffin, “ La théorie des dégénérescences et sa réception (1857-1968) ”, pp. 39-58.
Béatrice Philippe, “Le mariage exogamique vu par les auteurs français au XIXe siècle”, pp. 59-77.
Liliane Crips,“Hans F. K. Günther (1891-1968), un idéologue du nordisme”, pp. 79-100.
F. Taubert, “Frank Wedekind: Hidalla oder Sein und Haben (Karl Hetmann, der Zwergriese), une satire du racisme et du nordisme”, pp. 101-121.
Marianne Walle, “Eve nouvelle ou ange du foyer ? Les héroïnes de la littérature féminine dans les années 20”, pp. 123-140.
Rita Thalmann, “L’évolution de l’émigration du IIIe Reich de 1933 à 1941”, pp. 141-157.
Anne Grynberg, “L’internement des Juifs étrangers, un remède à la décadence française”, pp. 159-173.
Nicole Gabriel, “Actualité de l’austro-marxisme: Otto Bauer et la question des nationalités”, pp. 175-189.
Claudie Lesselier, “Traditionalisme et engagement: les femmes à l’extrême droite”, pp. 191-207.
Regina Benjowski, “La position des femmes dans le contexte de l’unification allemande”, pp. 209-217.
N° 7, 1992
Colette Guillaumin, “‘Clôture culturelle’ et inassimilation dans la France contemporaine”, pp. 3-10.
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Nicole Gabriel, “La culture contre le nationalisme. Rudolf Rocker: Nationalisme and Culture (1937)”, pp. 51-72.
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