Via il volume di Nina Van Horn, Hell of a woman con biografie e foto di Alberta Hunter (sopra), Victoria Spivey, Memphis Minnie, Lil Green, Ma Rainey, Georgia White, Mildred Bailey, Bessie Smith, Kate Mc Tell, Sister Rosetta Tharpe, Odetta, Billie Holiday e tante altre ...
venerdì 10 maggio 2013
giovedì 9 maggio 2013
L'integrazione è un campo di battaglia
Ancora a proposito della nomina di Cécile Kyenge, riprendiamo da Connessioni Precarie un articolo che ci sembra non solo approfondire ed esplicitare alcune delle questioni dibattute in Chi ha paura della donna nera? ma anche proporre alcuni spunti per una lettura critica del concetto di integrazione, tema che riteniamo cruciale fin dai tempi de La straniera, con il saggio di Sara Farris La retorica dell'integrazione (e rinviamo anche a Integrazione. Passione, tecnica, dovere, la "voce" curata da da Silvia Cristofori in Femministe a parole . Buona lettura e riflessioni // La nomina della ministra Cécile Kyenge ha suscitato alcune reazioni prevedibili, altre meno. Alla volgarità leghista siamo ormai abituati, così come agli insulti razzisti che hanno come bersaglio non solo i migranti tutti, ma direttamente e indubbiamente i «negri». Usiamo questa parola fuori da ogni politically correct che ha coperto d’ipocrisia l’istituzionalizzazione di un razzismo di lungo corso che attraversa l’Italia e fa parte della sua gloriosa storia. L’Italia unita ha avuto le sue colonie e la sua teoria della razza, fatta propria dal regime fascista e mai veramente discussa e cancellata. «Non ci sono italiani negri», è stato detto dopo il primo gol di Balotelli, oggi chiamato in causa come testimonial. Ma mentre un gol fa godere tutti, lo stesso non si può dire quando arriva una ministra «negra». Tolto il dispregiativo, è stata lei stessa a togliere di mezzo anche le formule vaghe definendosi «nera» e non «di colore». Oltre al nero c’è però di più: c’è il fatto che Cécile Kyenge, con la sua stessa presenza, spezza il velo del silenzio calato sulla condizione di ormai oltre cinque milioni di persone che vivono e lavorano in Italia, delle centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi delle nuove generazioni in movimento, di bambini e bambine marchiati a fuoco dallo stigma dell’alterità e per i quali già si pensano esami di una presunta italianità. Sarebbe perciò sbagliato e ingenuo pensare che solo di integrazione e convivenza si debba parlare. Lo ripetiamo oggi a Cécile Kyenge, mentre le esprimiamo solidarietà e appoggio. Lo diciamo sicuri di interpretare anche il sentimento di tanti e tante migranti con cui ha saputo lottare negli anni scorsi, anche uscendo dagli angusti spazi della retorica del suo stesso partito. Un partito che mentre parla a mezza voce di una società meticcia, proprio dove lei vive, ha costruito e mantenuto due dei tredici centri di reclusione per i migranti. I famigerati Centri di identificazione ed espulsione, un tempo Centri di permanenza temporanea, sono stati infatti istituiti dal suo partito, oggi PD, con una legge che porta il nome di una persona che ha speso la vita per l’integrazione, Livia Turco, e dell’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Siamo sicuri che, nella disattenzione generale, tra le cose di cui il suo nome è garanzia in Europa vi sia anche il mantenimento di quell’apartheid democratico che vede nei CIE delle strutture simbolicamente necessarie. La «scimmia congolese», come è stata amabilmente etichettata la ministra, dovrebbe secondo alcuni andare a «lavare i cessi» in quanto «negra». Seppur ancora troppo timide, le reazioni di condanna non mancano, compresa quella della presidente della Camera Boldrini, prima che altre urgenze prendessero il sopravvento. Quelli che si scandalizzano, però, sanno che per una donna nera qualsiasi «lavare i cessi» è una possibilità molto più concreta di quanto questi insulti possano far pensare? Siamo sicuri che il ministro Giovannini, che conosce le statistiche del mercato del lavoro italiano, potrà confermare che in questi anni l’integrazione ha voluto proprio questo: riservare ai migranti e alle migranti i lavori peggiori, peggio pagati, più pesanti, secondo una rigida divisione del colore. In questa rigida divisione, le donne nere devono soprattutto lavare i cessi, magari degli ospedali, oppure prostituirsi mettendo d’accordo i maschi neri e quelli bianchi, il cui piacere continua a nutrirsi degli stereotipi coloniali alimentati dal mito della patria. Il lavoro domestico e di cura è invece sempre più riservato, in condizioni non sempre migliori, ad asiatiche o migranti dalla pelle bianca che provengono dall’Est Europa se si tratta di badare gli anziani. L’integrazione, ben oltre le feste in costume, la ‘cultura’ che tanto interessa certi giornalisti embedded di sinistra e le vuote parole sulle pari opportunità, è l’integrazione nella precarietà e nello sfruttamento garantiti dall’apartheid democratico e dall’arroganza della discrezionalità amministrativa. Ci sono poi altri silenzi e altri commenti che lasciano esterrefatti. Lo abbiamo già detto segnalando la novità di questo ministra, ma con il passare delle ore sono sempre più chiari la miopia e l’infantilismo politico di chi, dopo magari averne fatto per anni una bandiera, oggi banalizza questo attraversamento della linea del colore. Non stiamo celebrando una vittoria e neppure un’acritica apertura di credito a una neominstra, e questo tocca pure dirlo per non essere volutamente fraintesi dai più duri e puri. Mentre segnaliamo la novità, ci colpisce invece la non novità di certi commenti imbarazzati, infastiditi, quasi irritati. Ci ricordano gli stessi toni di chi nel 2010 ha storto il naso di fronte allo sciopero del lavoro migrante contro la Bossi-Fini. Nel 2010 lo sciopero è stato fatto lottando duramente contro chi non lo voleva: i grandi e piccoli sindacati e molti gruppi di movimento impauriti di perdere la centralità delle forme di militanza più rassicuranti. Una lotta che è stata più difficile con loro che con lei, che come noto era presente. I commenti imbarazzati di questi giorni ricordano anche chi il 23 marzo scorso si è ben guardato dal sostenere pubblicamente la manifestazione di Bologna, nella quale oltre tremila migranti chiedevano a ogni futuro governo di cancellare la legge Bossi-Fini e denunciavano il razzismo, la segregazione lavorativa, lo sfruttamento cui sono sottoposti. Se ne sono accorti migranti di mezza Italia, non altri. Il fatto che la neoministra fosse presente in queste occasioni non significa certo che sono assicurati risultati eclatanti, ma non è del tutto indifferente per spiegare le reazioni scomposte che si stanno sentendo. Il contenuto politico che apre questa nomina pare sia ben chiaro soprattutto ai gruppi più razzisti di questo paese. Basta leggere i commenti per accorgersi che dietro al «ministro bonga bonga» c’è infatti la difesa strenua di quel razzismo istituzionale che si fonda sulle leggi tanto italiane quanto dell’Unione Europea, non su qualche gruppo nazistoide. Si tratta di un razzismo istituzionale ormai da tempo uscito dalle priorità del cosiddetto movimento, vale la pena ripeterlo in questa occasione. Capiamo perciò che dia molto fastidio essere superati da sinistra, anche solo sul piano dell’involontaria segnalazione del problema, dal governo che si è appena formato. Difficilmente Cécile Kyenge potrà cambiare qualcosa da un ministero che non ha competenze in materia e senza portafoglio. Non sappiamo nemmeno se vorrà davvero farlo. Eppure non ci sembra questo il punto di fronte alla novità che rappresenta. Guardiamo piuttosto dentro le case dei milioni di migranti che vivono, lavorano e crescono in questo paese, ai loro sorrisi nel vedere una ‘come loro’ giurare in un governo. Loro sanno che questo non vorrà dire la fine delle sofferenze e dello sfruttamento, l’uguaglianza di opportunità, la cancellazione del razzismo istituzionalizzato. Loro sanno che questo andrà conquistato con il tempo e con la lotta. Sanno però con certezza che è una lotta da fare. Sarebbe il caso che anziché ignorare questa lotta quotidiana riducendola alle sterili tattiche di movimento, lo capissero anche tutti quelli che si professano antirazzisti e antirazziste. Sarebbe bene anche che le tante persone di buona volontà che credono che la parola integrazione sia il bene, capissero che l’integrazione è un campo di battaglia che, mentre ricopre di belle parole, miete ogni giorno le sue vittime imponendo un prezzo da pagare. Le prime reazioni alla proposta di una modifica della legge sulla cittadinanza nella direzione dello ius soli parlano da sole. Le esternazioni del presidente del Senato ed ex-magistrato Pietro Grasso, che già paventa, in perfetta linea con leghisti e fascisti, l’invasione di donne migranti pronte a scaricare il loro imbarazzante fardello in suolo italico, sono emblematiche e significative. Il concetto di «ius soli temperato dallo ius culturae», formulazione ripresa dall’ex ministro per la cooperazione e per l’integrazione Riccardi, la dice lunga sul grado di violenza di questa battaglia, e ribadisce che l’unica integrazione ammessa senza condizioni è quella nello sfruttamento. Di fronte al silenzio quasi tombale che aleggia su queste questioni decisive del nostro tempo, intervallato dalla sterile esaltazione della diversità, da piccoli momenti d’irritazione e dalle offese razziste, la nomina di Cécile Kyenge segnala anche ai distratti che qualcosa nel mondo e in Italia è cambiato. E, probabilmente inseguendo lo scopo contrario, ricorda una dura lotta da fare
martedì 7 maggio 2013
Non si nasce donna al Mfla
Un grazie alle compagne del Mfla che oggi hanno dedicato a Non si nasce donna uno spazio nella rubrica Atti e Misfatti della loro trasmissione radio!
Etichette:
bibliografie,
Christine Delphy,
Colette Guillaumin,
femminismi,
Joan W. Scott,
materialismo,
Monique Wittig,
Nicole-Claude Mathieu,
Paola Tabet,
Quaderni viola
Donne, corpi, pubblicità a Roma3
Questo pomeriggio, presso la facoltà di Scienze della Formazione di Roma3, presentazione del volume di Laura Corradi (e con contributi di Marta Baldocchi, Emanuela Chiodo, Vincenza Perilli, Angela Tiano) Specchio delle sue brame. Analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo (Ediesse, 2012). Per maggiori info sull'iniziativa rinviamo al sito di UniRoma. Articoli correlati in Marginalia: Specchio delle sue brame, Il sistema sessismo/razzismo in pubblicità, Donne, corpi, pubblicità
Siamo tutte donne velate / Nous sommes toutes des femmes voilées
Segnalo una delle ultime petizioni che ho ritenuto di firmare, Nous sommes toutes des femmes voilees, lanciata in Francia dopo le dichiarazioni di qualche settimana fa di François Hollande il quale auspica l'estensione della legge che prevede l'interdizione dei segni religiosi anche ad alcuni luoghi di lavoro dove "ci sono contatti con bambini". La petizione - lanciata, tra le altre, da Sonia Dayan-Herzbrun - è stata firmata da un nutrito gruppo di studiose, militanti e femministe sia francesi (Eleni Varikas, Laure Bereni, Rada Ivekovic, Christine Delphy, Elsa Dorlin tra le altre) che non (e tra queste Angela Davis, Amina Wadud, Joan W. Scott ...) e può essere firmata sul sito di Change.org
domenica 5 maggio 2013
Cècile Kyenge / Chi ha paura della donna nera?
Chi ha paura della donna nera ? -, un articolo discusso e scritto con le compagne di Migranda a proposito di Cécile Kyenge, la nuova ministra dell'integrazione e le reazioni che ne hanno accompagnato la nomina. Ogni commento è il benvenuto, buona lettura // "Se i piccini sono stati abituati ad avere paura dell’uomo nero, oggi i grandi hanno paura di una donna nera, Cécile Kyenge, appena nominata ministra dell’integrazione. Cécile Kyenge non fa paura perché è una donna. I governi hanno sempre saputo come tenere al loro posto le donne ambiziose, e alcune al loro posto ci sono anche rimaste con piacere. Del resto, nessuno di quelli che hanno accolto l’incarico di Kyenge con insulti razzisti e maschilisti ha avuto nulla da ridire sulla nomina al Ministero della salute di Beatrice Lorenzin, che d’altra parte ha avviato la sua attività istituzionale annunciando una campagna «a favore della vita» di cui certo le donne non potevano fare a meno. Cécile Kyenge, dunque, non fa paura perché è una donna. Cécile Kyenge, però, non fa paura neppure solo per il fatto di essere nera. È vero che, per il più profondo ventre razzista italiano, ogni messa in discussione delle cosiddetta linea del colore è un’eresia da combattere. Negli ultimi anni, però, anche nelle fila di quella Lega Nord che oggi insulta la nuova ministra sono state elette donne nere come Sandy Cane, convinta sostenitrice di maggiori controlli per evitare l’ingresso di «clandestini». Cécile Kyenge, quindi, non fa paura nemmeno perché è nera. A fare paura sembrerebbe piuttosto il fatto che si tratta di una «donna-nera», come lei stessa si è orgogliosamente definita, senza possibilità di tenere questi due termini separati o distinti, e senza poterli separare neanche dal fatto che questa donna-nera sta almeno in parte mettendo in discussione la legge Bossi-Fini. Il razzismo becero del governatore del Veneto, che pochi giorni fa ha intimato alla «ministra nera» di andare a visitare la donna austriaca stuprata da due «extra-comunitari», sembra cogliere questo punto con incredibile precisione. In nome di quella presunta «cultura veneta per cui il rispetto dell’identità della donna è un pilastro fondamentale», Zaia ha cercato di togliere a Cécile Kyenge il fatto di essere donna, identificando la violenza sessuale con la «razza» e dimenticando volutamente, come peraltro Cécile Kyenge gli ha ricordato, che la violenza sulle donne non ha razza né classe, ma solo un sesso. A dimostrazione della difficoltà di guardare alla «ministra nera» come donna e come nera, Zaia ha cancellato il primo aspetto e ha usato l’equazione razza-violenza per identificarla con i neri come lei, facendone su questa base una sorta di rappresentante istituzionale di migranti che, secondo quelli come lui, per natura stuprano, rubano, ammazzano. Come sempre accade, la violenza sulle donne viene trattata dai nostri solerti ministri per fini che con le donne nulla hanno a che fare, e come sempre accade si trascura il fatto che essa in Italia continua a essere perpetrata per la maggior parte per mano di padri, fratelli, mariti, amici di famiglia e compagni. Ma la famiglia non si tocca! Quella si che è un vero pilastro della cultura veneta, e persino italiana.
Con lo scopo di denigrarla, Cécile Kyenge è così chiamata a dare conto dei crimini di «quelli come lei», diventando la rappresentante di quanti alla rappresentanza non hanno alcun diritto. Si sa che sono qui, qui lavorano, qui versano contributi che non rivedranno mai, qui vivono sotto il ricatto di un permesso di soggiorno che pagano profumatamente finché lavorano, per essere poi detenuti nei Cie ed espulsi, senza contributi, quando il lavoro lo perdono. E di questi migranti molti sono donne, che stanno al servizio dei «nostri» anziani finché sono anziane anche loro, ma non hanno neppure la cittadinanza da offrire per i loro figli. Ad alcune è concesso di non lavorare, ma solo al prezzo di restare in Italia come «ricongiunte», le mogli dei mariti, senza permesso di soggiorno autonomo. Loro forse non sono donne come le venete, o come le austriache. O forse, come accade per le venete e le mitteleuropee per cui Borghezio ha un’«innegabile preferenza», anche loro possono essere calpestate in nome della famiglia, di quel ricongiungimento familiare che consente loro di restare a prezzo di una parte della loro autonomia. Il fatto è che, come donna-nera, Cécile Kyenge non è tanto la rappresentante di qualcuno, ma è colei che mostra che «quelle come lei» sono del tutto fuori posto nel luogo in cui lei si trova, proprio perché non possono essere rappresentate. Le donne «come lei» dovrebbero stare ben chiuse e nascoste nelle case dei cittadini e delle cittadine di questo paese, dovrebbero accettare di avere un destino segnato – se non come casalinghe, come pretenderebbe il degno compagno di Zaia, Borghezio – almeno come badanti, operatrici delle pulizie, prostitute, mogli, operaie. Se Cécile Kyenge raccoglie così tanti insulti è perché si trova in un posto dove «quelle come lei» non dovrebbero stare. Eppure, Cécile Kyenge si trova in quel posto, e non ci sta come una bambolina che, passivamente, con la sua sola presenza e il suo corpo nero dovrebbe risolvere il problema di un partito alla ricerca di una legittimità antirazzista perduta. Ci sta con la sua pretesa – fin troppo cauta – di inceppare l’ingranaggio del razzismo istituzionale di cui sta facendo esperienza sulla propria pelle, e che per tutti quelli «come lei» prende il nome di legge Bossi-Fini. Noi non sappiamo cosa Cécile Kyenge riuscirà a ottenere nel suo ruolo, anche se siamo certe che non avrà vita facile. Crediamo che la sua presenza fuori luogo, come dimostra la paura che suscita, segnali un cambiamento di non poco conto. Sappiamo anche, però, che non tutte «quelle come lei» hanno la stessa possibilità di essere fuori posto come lei. Che in questo paese la battaglia delle donne-nere, delle donne-migranti, per uscire dalle case, sottrarsi agli obblighi riproduttivi, al comando del salario o alla dipendenza dai loro mariti è ancora tutta da giocare e in tutti i casi, che non sono pochi, parte da loro con coraggio e determinazione. E sappiamo che questa battaglia difficilmente si giocherà tra i volti bianchi di un ministero, ma piuttosto nelle case, nelle piazze dove da tempo i migranti e le migranti stanno lottando contro la legge Bossi-Fini, in tutti quei luoghi dove essere donne, donne-nere e donne-migranti fa, può fare, deve fare la differenza"
Etichette:
Bossi-Fini,
Cécile Kyenge,
Cpt/Cie,
donne di destra,
donne migranti,
integralismo cattolico,
razzismo,
sessismo e razzismo,
stupro,
violenza sulle donne,
whiteness / bianchezza
venerdì 3 maggio 2013
Lo spazio Schengen e Aminata Traoré / Un'intervista
Qualche giorno fa vi avevamo segnalato come all'attivista e femminista maliana Aminata Traoré fosse stato negato, per intervento diretto della Francia, il visto per tutti i paesi Schengen. Su Il Paese delle donne potete ora leggere la traduzione dell'intervista rilasciata qualche giorno dalla stessa Traoré alla redazione di Cameroonvoice, una decisa condanna del sistema economico mondiale che ha posto cinicamente da tempo al centro della propria agenda politica la guerra e la militarizzazione per il controllo delle risorse dell'Africa // Articoli correlati pubblicati recentemente in Marginalia: Mali: non alle strumentalizzazione della violenza contro le donne, Donne del Mali: diciamo no alla guerra per procura!, Guerra in Mali / Un'intervista ad Angelo Del Boca
Simposio di storia della conflittualità sociale 2013
Il nono simposio estivo di storia della conflittualità sociale, organizzato da Storie in movimento e Zapruder, si terrà dal 25 al 28 luglio 20 a Monte del Lago (Hotel La nuvola, Magione - Perugia). Il SIMposio nasce all’interno dell’associazione Storie in movimento come occasione di confronto e discussione che si affianca alla rivista «Zapruder». Esperienza originale in un panorama sempre più asfittico, il SIMposio è pensato come un laboratorio che mira a rimettere in comunicazione luoghi e soggetti diversi attraverso cui si articola la produzione del sapere storico. Liberare e far circolare i saperi in uno spazio di discussione critica comune e orizzontale: questa è la nostra scommessa politica. Il SIMposio è immaginato in modo pluridimensionale. Durante quattro giornate affronteremo diversi snodi storiografici in una rara occasione di confronto interdisciplinare dove però l’elaborazione collettiva del sapere non è mai disgiunta dalla sua dimensione politica ma anche ludica: ci riuniremo infatti in un ambiente ideale, circondati dalla natura e con a disposizione una struttura ricettiva solitamente destinata allo svago. In questo senso, il SIMposio è un’opportunità per incontrarsi, discutere e divertirsi.
Il SIMposio di quest’anno si apre con un dialogo di respiro internazionale giocato sulla tensione fra “trasformazione” e “rivoluzione” che attraversa la pratica teorica dei movimenti femministi e lgbtqi. La sera sarà invece il momento del “sogno e combattimento” con la musica di Marco Rovelli. Nella giornata di venerdì ci concentreremo sul Novecento in due diversi dialoghi: la mattina sul tema dell’immaginario e delle immagini che ne costituiscono il tessuto, mentre il pomeriggio tematizzeremo un confronto fra nazionalismi europei. La mattina del sabato sarà dedicata alla prima edizione di un laboratorio annuale sulle fonti che inizia quest’anno con una riflessione sull’uso delle interviste nella ricerca etnografica. Il sabato si chiude con un dialogo che esplora il concetto della “classe” a partire da un recente libro di Andrea Cavalletti. La domenica, come ogni anno, ci saluteremo con un’assemblea fra tutte le persone che hanno preso parte a questa edizione del SIMposio. Per programma, costi e modalità d'iscrizione, borse di soggiorno e informazioni si come raggiungere Monte dal Lago rinviamo al sito di Storie in Movimento. Vi aspettiamo numerose/i!
Cie / Sciopero della fame a Ponte Galeria
Con un comunicato rivolto all'amministrazione del Cie, i detenuti di Ponte Galeria - il Centro di identificazione e espulsione di Roma dove tra l'altro, nel maggio 2009 si uccise, impiccandosi, Mabruka Mamouni-, lanciano uno sciopero della fame. Il comunicato, che è stato pubblicato sul sito di Radio Onda Rossa e che invitiamo a diffondere - si chiude con una domanda che temiamo resterà senza risposta: "Noi motiviamo il nostro sciopero della fame, ora voi motivateci il perché dobbiamo espiare una pena senza aver commesso un reato"
mercoledì 1 maggio 2013
Sublimazioni pulsionali
Dopo Vicky Lane, Nina Simone (magari ascoltando Dont't smoke in bed. Giusto per restare in tema ...)
Aminata Traoré persona non grata in Francia
Aminata Traoré - di cui tempo fa avevamo pubblicato l'appello firmato con altre femministe maliane per protestare contro la strumentalizzazione della violenza sulle donne da parte della comunità internazionale per giustificare l'intervento armato in Mali (appello poi tradotto da Giovanna Romualdi per Il Paese delle donne) -, non ha potuto partecipare ad una serie di incontri in Europa ( e tra questi quello organizzato a Parigi presso l'Ageca, Non à la guerre au Mali ! Retrait des troupes !// No alla guerra in Mali! Ritiro delle truppe!), poichè il governo francese ha impedito che le fosse accordato il visto necessario per poter circolare liberamente nei paesi Schengen. Come non stabilire un collegamento - si chiedono i/le firmatari/ie di un appello diffuso in questi giorni - tra le convinzioni politiche di Aminata Traoré e il fatto che sia persona non grata alla Francia ?
Bastard and Poor's
Come nostro contributo a questo Primo Maggio segnaliamo il sito Bastard and Poor's, la prima agenzia di rating per lavoratori e lavoratrici che fa il suo ingresso nel web proprio oggi: non perderti un rating, connettiti con Bastard and Poor's ...
Iscriviti a:
Post (Atom)