Mancano oramai pochi giorni alla manifestazione promossa dall’Open Mind, che si terrà a Catania il 16 settembre (potete trovare il documento di convocazione e l’indirizzo per aderire nel post "Orgoglioso antifascismo" del 27 luglio ) Ho ritenuto importante dare spazio e per questa via aderire all’iniziativa anche perché offre un terreno comune di lotta a tante soggettività diverse e mi sembra utile proporre qualche elemento di discussione in più. Il richiamo all’eliminazione di migliaia di omosessuali uccisi nei campi di sterminio nazisti presente nel documento è doveroso perché questo aspetto è spesso rimosso o sottovalutato, come pure l’uccisione di altri “non-uomini” (penso in particolare ai rom, i cosiddetti “zingari”). Certamente il richiamo ai campi di sterminio nazisti, provoca, tramite la forte carica simbolica legata a quei luoghi, una grande ed immediata adesione anche di tipo emotivo. Ma mi chiedo se non sarebbe più opportuno ( e forse anche più proficuo per trovare oggi efficaci strumenti di lotta contro l’omofobia, il sessismo e il razzismo professati da gruppi quali Forza Nuova) riflettere in questa occasione sulle modalità peculiari che assunse nell’Italia fascista la persecuzione degli omosessuali. Come argomenta Giovanni Dall’Orto nel suo “Il paradosso del razzismo fascista verso l’omosessualità” (in A. Burgio, Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, Bologna, Il Mulino 1999) in Italia, a differenza che nella Germania nazista, non ci furono delle vere e proprie leggi anti-omosessuali, e questo per delle differenze sostanziali tra le due politiche razziste nei confronti dell’omosessualità. Per il programma razziale nazista, gli omosessuali costituivano un gruppo “degenerato” (similmente ad ebrei, zingari, “ritardati” mentali eccetera), e questa tara genetica prevedeva come conseguenza la loro eliminazione fisica, unico modo per “rigenerare” la razza tedesca da tutti i presunti geni difettosi. Significativo al riguardo è che il nazismo non faceva differenze tra omosessuali “attivi” e “passivi” o tra chi metteva in pratica l’atto o, semplicemente, lo fantasticava. Del tutto diverso l’approccio del fascismo italiano, dove l’omosessuale non è un gruppo sociale “tarato” e quindi da eliminare, ma qualcuno che “devia” dalla giusta via (quella eterosessuale), un malato che può essere curato e recuperato. Il manifesto di Forza Nuova citato nel documento di Open Mind (“L’omosessualità si cura non si manifesta”) mi sembra in perfetta continuità con questo tipo di approccio e a mio modo di vedere la dice lunga sulle radici storiche mai recise degli attuali gruppi neo-fascisti italiani.
Altra differenza spesso sottolineata è che la persecuzione anti-omosessuale fascista non assunse le proporzione anche numeriche di quella nazista (in Italia tra il 1936 e il 1939 furono mandati al confino meno di 90 persone). Elemento importante non per assolvere o sminuire le colpe del fascismo contro gli omosessuali, ma perché ci offre una chiave in più per comprendere anche il presente. Una persecuzione maggiore avrebbe significato “dare pubblicità” all’omosessualità, cosa che il fascismo italiano non poteva permettersi perché questo avrebbe incrinato il mito, caro a Mussolini e ai suoi gerarchi nonché a un buon numero di italioti anche odierni, del maschio italiano talmente virile da non poter essere omosessuale (tant’è che era considerato omosessuale solo chi indulgeva nel ruolo “passivo”, negli altri casi, essendo la virilità salva, non c’erano problemi). Ma l’aspetto che più mi preme sottolineare nell’imminenza della manifestazione di Catania è che ben 42 delle 90 condanne al confino promulgate dal fascismo furono opera di un unico questore: lo zelante questore Molina di … Catania.! Sarebbe forse il caso allora di fare circolare l’articolo di F. Goretti, “Catania 1939” (in E. Venturelli (a cura di), Le parole e la storia, Bologna, Il Cassero 1991) e rendere la cosiddetta “memoria storica” qualcosa di meno simbolico (e forse retorico). E se si titolasse una piazza o via di Catania alle vittime di Molina, costrette tra l’altro a subire durante il processo una visita all’ano per stabilire se fossero “passivi” o “attivi”?
Altra differenza spesso sottolineata è che la persecuzione anti-omosessuale fascista non assunse le proporzione anche numeriche di quella nazista (in Italia tra il 1936 e il 1939 furono mandati al confino meno di 90 persone). Elemento importante non per assolvere o sminuire le colpe del fascismo contro gli omosessuali, ma perché ci offre una chiave in più per comprendere anche il presente. Una persecuzione maggiore avrebbe significato “dare pubblicità” all’omosessualità, cosa che il fascismo italiano non poteva permettersi perché questo avrebbe incrinato il mito, caro a Mussolini e ai suoi gerarchi nonché a un buon numero di italioti anche odierni, del maschio italiano talmente virile da non poter essere omosessuale (tant’è che era considerato omosessuale solo chi indulgeva nel ruolo “passivo”, negli altri casi, essendo la virilità salva, non c’erano problemi). Ma l’aspetto che più mi preme sottolineare nell’imminenza della manifestazione di Catania è che ben 42 delle 90 condanne al confino promulgate dal fascismo furono opera di un unico questore: lo zelante questore Molina di … Catania.! Sarebbe forse il caso allora di fare circolare l’articolo di F. Goretti, “Catania 1939” (in E. Venturelli (a cura di), Le parole e la storia, Bologna, Il Cassero 1991) e rendere la cosiddetta “memoria storica” qualcosa di meno simbolico (e forse retorico). E se si titolasse una piazza o via di Catania alle vittime di Molina, costrette tra l’altro a subire durante il processo una visita all’ano per stabilire se fossero “passivi” o “attivi”?
(Questo articolo è stato anche pubblicato qui)