martedì 29 settembre 2009
Stranabologna: in strada per spezzare il filo nero della paura
Anna Paola Concia è conciata male ...
domenica 27 settembre 2009
Con Simonetta Salacone, che non ha fatto silenzio
E' il momento per chi condivide questo rifiuto di impedire la creazione di un capro espiatorio manifestando apertamente il proprio dissenso. L'appello Contro l'imposizione del silenzio può essere uno degli strumenti per farlo.
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venerdì 25 settembre 2009
Gianni Alemanno e Imma Battaglia: due cuori e una celtica
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Senza commento, per carità.
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Contro l'imposizione del silenzio
Firmatarie/ri: Antonella Selva, Vincenza Perilli, Mohamed Rafia Boukhbiza, Rudy M. Leonelli, Giusi Sasdelli, Alberto Masala, Sandra Cassanelli, Leo Rambaldi, Daniela Spiga, Enrica Capussotti, Silvana Sonno, Daniela Danna, Lidiamaria Cirillo, Graziella Bertozzo, Flavia Branca, Gabriella Cappelletti, Sara Farris, Antonella Caranese, Marco Poggi, Maria Grazia Negrini, Stefania Biondi, Donatella Breveglieri, Alice Bruni, Marinella Zaniboni, Donatella Mungo, Norma Bertullacelli, Eugenio Lenardon, Rossella Cecchini, Claudio Cantù, Patrizia Ottone, Carla Govoni, Ilaria Turrini, Larissa Cioverchia, Irene Patuzzi, Alessandro Paesano, Marina Sammarchi, Mariangela Casalucci, Anna Acacci, Gaetano Apicella, Marco Trotta, Andrea Coveri, Marinella Gondoni, Lisa Prandstraller, Giovanna Garrone, Stefano Pezzoli, Grazia Bollin, Piero Cavina, Stefano Tampieri, Gerlando Argento, Andrea Martocchia, Vincenzo Zamboni, Massimiliano Garlini, Gabriele Spadacci, Cristina Tagliavini, Franco Sacchetti, ...
Per adesioni: nosilenzio chiocciola gmail.com
Adesioni in aggiornamento su Marginalia
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mercoledì 23 settembre 2009
Donne migranti, rivolte e tentativi di stupro nei Cie
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Clandestino (e clandestina) Day
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La solitudine della Gattoparda, la società porno-tutto-il-giorno e lo spettacolo dell'autoabuso in pubblico
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Sembrerà che tutto cambi, affinché tutto resti immutato – suggeriva Tomasi di Lampedusa – risvegliatosi al Napoli Teatro Festival. Qui sembra che le sue parole risuonino caduche in una dimensione di genere dove i desideri sono ingabbiati, socialmente costruiti dal mercato divenuto linguaggio unico dell’accesso al divertimento. La Gattoparda (di Miriam Palma e Lina Prosa) osserva apparentemente immobile il pendolo delle identità femminili nei suoi viaggi interiori, a partire dalla sua tana umida e pulsante, capace di risvegliare altre tane - tane anziane, tane puttane, tane che non hanno fame, tane piccole e sane … Perché per noi non è un monte di venere da espugnare ma una città di troia su cui regnare. Ed è lo stesso pube a cui Angela Barretta - dopo aver tagliato il proprio petto: lametta e sangue - cuce pazientemente con ago e filo un fallo di lattice - circondata da sguardi curiosi e morbosi, e da stomaci in subbuglio – in Pharmacon, critica audace del corpo medicalizzato e di rapporti di genere violenti tra chi agisce la scienza e chi la subisce - tra i camici bianchi, camici sadici, e i corpi delle donne che si fidano. Con tutta la dinamica perversa del rapporto tra uomini e donne – che oggi implica la possibilità di scegliere la negazione del desiderio femminile, paradosso dell’autocontrollo – dolorosa e necessaria arma di difesa verso un potere maschile insostenibile e insopportabile: egoismo incontinente, falsità indifferente, strumentalità acquisitiva che ci rende tutte intercambiabili: ogni menzogna, ogni finzione, ogni slealtà può essere legittima nell’immaginario simbolico maschile, ogni manipolazione può essere messa in scena, in nome dell’obiettivo – fare goal, rimorchiare, la conferma di una virilità surriscaldata e stanca. Ma alla fine possono volere solo la tana che non li vuole. Profetesse senza seguito. Quale è la politica delle donne oggi? Mentre si consuma la solitudine delle teoriche femministe, mentre la Gattoparda si interroga sulle possibilità di un ‘teatro d’autrice’ come dispositivo collettivo di insubordinazione sociale – i maschi rincorrono il paradiso in terra, il desiderio malato del corpo merce – vogliono la velina e la cocaina, ci dice Massimiliano Virgilio nel suo raccontare Napoli nel testo Porno tutto il giorno - disperandosi per il rifiuto, per non poter avere quello che gli schermi promettono nel loro paese dei balocchi: un cazzo sempre duro, fighe a volontà, belle auto, vestiti firmati, le mercanzie degli shopping mall. Si vendono l’anima per così poco. Perché – in fondo in fondo, in quanto maschi - vogliono comandare-e-fottere, che siano ventenni o cinquantenni, camionisti o medici, cattolici, comunisti o anarchici. Nel sottoscrivere i modelli di maschilità dominante finiscono per assomigliare così tristemente al Berlusconi che aborrono … Mentre il mondo della Gattoparda ruota vorticosamente verso il cambiamento di polarità profetizzato da diversi popoli indigeni - fuori dalle rotte conosciute, dalle schiavitù edulcorate, dal paradigma sado/maso come unica modalità di relazione tra i generi – viene messo in scena l’autoabuso come denuncia e come piacere – ciò che la black panther Angela Davis chiamava internalized oppression - "oppressione interiorizzata". Nel silenzio che evoca l’indicibile la Gattoparda traccia le linee della libertà impossibile, l’unica che valga la pena vivere. La tana diventa quindi il luogo dell’eterno ritorno, caverna magica della forza e grotta segreta della creatività non discipli/nata: Dea senza inizio e senza fine, anfratto della clandestinità e della complicità fra donne, pratica discorsiva irriducibilmente antagonista – come durante l’incontro delle tane - tane siciliane, tane africane - nello splendido video Lampedusa Beach. La resurrezione della Gattoparda alla fine dimostra solo una cosa: che il desiderio, quello vero non muore mai, nemmeno quando gli spari un colpo in testa.
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lunedì 21 settembre 2009
Ricordando ancora Riccardo Bonavita
Rinvio qui, al frammento dell'articolo di Riccardo Lo sguardo dall'alto. Le forme della razzizzazione nei romanzi coloniali e nella narrativa esotica (in La menzogna della razza, 1994) e alla bibliografia che avevo ri-pubblicato nel primo anniversario della morte.
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L’Italia finanzia le violenze contro le donne migranti
Per adesioni:altracitta@women.it
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Auschwitz. Prima e oltre. Nuovi conflitti e percorsi altri tra esclusione, identità e differenza
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Attorno ad Auschwitz come evento paradigmatico del costruirsi e dello sfaldarsi di categorie tanto storiche quanto politiche si sono condensati studi eriflessioni che ne hanno indagato ampiamente origini ed effetti ben aldi là dell’orizzonte novecentesco. L’intento di queste giornate di studio è quello di proporre una rilettura di quelle circostanze (storiche, sociali, politiche, culturali, filosofiche) che, anche attraverso progressive dissipazioni del senso dei limiti, hanno avviato a regimi in cui tutto è apparso possibile. A questa analisi, che si propone di mettere a confronto discipline e approcci differenti, si vuole affiancare un tentativo di guardare alla contemporaneità, segnatamente ai nuovi conflitti che non di rado accompagnano forme di chiusura identitaria, alla luce di quelle modalità diesclusione/discriminazione che investono spesso le differenze tout court. L’intento di andare oltre Auschwitz, rivitalizzando un’idea di memoria non meramente conservativa ma che tenti di stabilire raccordi con l’oggi, induce a guardare a quelle forme di opposizione ai conflitti, dai movimenti pacifisti alla non violenza, che si sono raffinati nel corso del Novecento. All’interno di questa cornice di carattere più generale potranno essere affrontate in maniera più specifica le seguenti tematiche: Esclusione e discriminazione delle minoranze, violenza di genere: donna come soggetto e oggetto dei totalitarismi, pacifismo e movimenti per la pace, identità e politica: classe, etnia e genere, nuove forme di opposizione ai conflitti dopo Auschwitz e Hiroshima, conflitti nel mondo contemporaneo, biopolitica del campo.
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domenica 20 settembre 2009
Violenza sulle donne migranti e razzismo: Daniela Santanchè e le nuove "cerimonie di svelamento"
So bene che i tempi e il contesto sono diversi, ma come non notare la sorprendente ( e inquietante) similitudine di queste cerimonie di svelamento coloniali con la "manifestazione contro il burqa" inscenata oggi a Milano da Daniela Santanchè? Come già annunciato a poche ore dalla morte di Sanaa Dafani, stamani Madam Santanchè, accompagnata da un manipolo di suoi accoliti, ha tentato infatti di impedire l'entrata alla Fabbrica del Vapore ad alcune donne che andavano a festeggiare la fine del Ramadan, aggredendole e tentando di strappare loro i veli (chiamati impropriamente da Santanchè&Co burqa, ma il perché è facilmente intuibile). Sembra che sia stata aggredita a sua volta, ma crediamo che questo rientri nel copione previsto e sperato. Mentre attendiamo l'inevitabile ridda di dichiarazioni di solidarietà verso Santanchè (e indignazione verso i/le fondamentalisti/e intolleranti) ci chiediamo cosa abbia gridato la leader del Movimento per l'Italia prima di gettarsi addosso alle donne velate da svelare ...
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(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:
Veli svelati. Soggettività del velo islamico nei racconti di alcune donne migranti
Protesta con veli e kefiah alla reggia dei Savoia
Musulmane rivelate. Donne, Islam, modernità
Per non tornare alle Crociate
Gaza. Dei vivi che passano
ControStorie: Razzismo_genere_classe online
Classer, dominer. Qui sont les autres?
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sabato 19 settembre 2009
Shadi Ghadirian: ironia di un'artista iraniana su donne e vita domestica
Alcune immagini tratte dalla serie Like Every Day (Domestic Life) di Shadi Ghadirian, giovane artista iraniana, nata a Tehran, dove ancora vive e lavora. Per chi legge lo spagnolo rinvio all'interessante articolo/intervista publicato nel blog di Ideadestroyingmuros.
giovedì 17 settembre 2009
Stranieri ovunque
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(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:
Stranieri ovunque
L'occidente visto dagli altri
Memoria e rappresentazioni del colonialismo
Zingari d'Italia
Confini senza fine
La banda della Uno Bianca e l'assalto al campo rom di via Gobetti
L'estraneo tra noi
Femminismo nel mondo? E' più vivo che mai
Donne di mondo
Scambi di sguardi
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Per Sanaa Dafani
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(Alcuni) articoli correlati in Marginalia
Ricordando Hina Saleem. E le altre.
L'uomo bianco stupra, lo stato bianco assolve
Economia politică a violului
Interruzioni involontarie di gravidanza
Economia politica dello stupro
No Trespassing
Violenza sulle donne e razzismo
Sessismo e razzismo: informazione e deformazione
La "femme" e "le petit nègre"
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martedì 15 settembre 2009
Terrone sinonimo di maleducato ... Riflessioni solitarie a partire dal manuale di bon ton di un gay-friendly leghista
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Per l'insubordinazione quotidiana
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"Colf" e "badanti": l'incerta regolarizzazione
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domenica 13 settembre 2009
Relazioni di genere e processi di esclusione e razzializzazione nelle democrazie occidentali
venerdì 11 settembre 2009
Caster Semenya, ermafrodito o nuova Venere ottentotta?
Era già successo clamorosamente quasi duecento anni fa con l'esposizione pubblica del corpo della giovane schiava sudafricana Sara Baartman, come ricorda questo post. La Venere ottentotta, deportata a Londra nel 1810, esibita nuda in giro per l’Europa di fronte all’occhio curioso di famelici scienziati e infine sbarcata a Parigi e diventata oggetto di studio di medici francesi ansiosi di dimostrare per mezzo dei suoi attributi l’inferiorità fisico-sessuale delle donne africane.
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giovedì 10 settembre 2009
Teoria femminista e attivismo in una prospettiva globale. Un convegno internazionale promosso dalla Feminist Review
Decisamente più interessante della Conferenza Internazionale sulla violenza contro le donne promossa dal nostro ministero per le (im)pari opportunità ... Il programma del convegno, organizzato dalla Feminist Review per i suoi trent'anni, è ricchissimo, tantissimi gli interventi previsti (Amina Mama dell'African Gender Institute, Vesna Niolic-Ristanovic dell'Università di Belgrado, Nishi Mitra, del Centre for Women's Studies di Mumbai, Rema Hamami della palestinese Birzeit University e Lidia Curti dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli e tante altre partecipanti) e le sezioni (sulla violenza contro le donne, su femminismo, colonialismo, nazionalismo, sulle Trans/National Intersections ...). Insomma per chi può (soldi, lavoro, tempo) vale proprio la pena cominciare ad organizzarsi per un viaggetto ... Per maggiori info rinvio QUI.
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mercoledì 9 settembre 2009
Pillole di saggezza della ministra Carfagna in tema di razzismo e violenza sulle donne
Povera Hina. E povere noi tutte.
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Ancora sul presunto silenzio delle donne e le politiche di disciplinamento
Ma gridare al silenzio delle donne è una pratica efficace, alcune se ne rendono (per quel perverso meccanismo che talvolta unisce vittime e carnefici o forse per questioni molto più pragmatiche, chissà) inspiegabilmente complici, stabilendo che è il momento, da questo silenzio, di uscire. Chi in silenzio non è mai stata (e non siamo poche) avverte, comprensibilmente, un certo fastidio tutte le volte che una tale forma discorsiva viene messa in campo. Ultimamente la strategia del "presunto silenzio delle donne" , dopo le rivelazioni estive sulle imprese sessuali del premier Berlusconi, ha rifatto capolino nel dibattito, e in grande stile. Domenica 5 settembre il quotidiano L'Unità ha ospitato un ampio resoconto del forum Il silenzio delle donne (costituito da giornaliste de L'Unità, deputate e parlamentari del Pd, femministe storiche), tutte a ribadire che è necessario "uscire dal silenzio, farsi sentire. Adesso. Perché le cose stanno già accadendo: la mortificazione, ogni giorno, di troppe donne". Qualcuna si è chiesta sgomenta leggendo: e tutto quello che ho fatto/detto/scritto (a volte anche urlato) finora, che fine ha fatto? Molto giustamente, qualche tempo fa, Floriana Lipparini (in un articolo dal significativo titolo di Non stiamo in silenzio) invitava le donne che avevano aperto il dibattito sul presunto silenzio delle donne, a non confondere "il non esserci con il non comparire", denunciando i meccanismi di potere che portano molte a non conquistare le prime pagine dei grandi quotidiani, una poltrona nei salotti televisivi o cinque minuti di celebrità nelle news dei telegiornali. Lipparini invitava anche a fare "un giro in internet", nei siti e blog gestiti da donne, a leggere quanto scrivono, fanno, propongono. Non so se Nadia Urbinati o altre del forum sul (presunto) silenzio delle donne lo abbiamo fatto. Non so quindi se hanno letto (o leggeranno) l'articolo di Adelaide Coletti, Il presunto silenzio delle donne e le politiche di disciplinamento. Ed è un vero peccato, perché illumina sulle ragioni che hanno portato tante donne, me compresa, non soltanto a provare fastidio per l'ennesima ingiunzione ad uscire da un silenzio nel quale non ci siamo mai accomodate, ma anche verso i termini nei quali il dibattito è stato costretto e gli intenti che ha rivelato. Scrive Coletti: "L’intento sembra essere quello di promuovere un mobilitazione femminile in autunno e la motivazione di fondo di questa chiamata alla piazza è l’indignazione circa le abitudini sessuali di Berlusconi, la mercificazione del corpo delle donne perpetrata dai mass media e da una politica che si sostanzia nell’intreccio sesso - denaro - potere usato come un’ arma di fascinazione e ricatto che ogni donna prima o poi incontra nel percorso volto alla sua realizzazione, considerata esclusivamente nell’accezione liberale e dunque come possibilità opportunistica di vincere la competizione con gli uomini e affermarsi nell’arena professionale. Questi argomenti sono l’unico focus di un dibattito che ne omette la connessione con le reali condizioni di vita delle donne -native e migranti- nel nostro paese, determinate da interventi etici che riportano i corpi a contenitori biologici, dalla privatizzazione dei servizi, dal doppio carico dal lavoro produttivo e riproduttivo, dalle politiche xenofobe, nonché della complicità femminile con i meccanismi di cooptazione del potere. All’omissione di questioni politiche nodali si somma l’esclusione dei soggetti della trasformazione: barricate dietro il paravento del presunto silenzio delle donne, escludono tutto ciò che si muove nella società". Poichè non sono certa che l'articolo di Adelaide Coletti sarà pubblicato sulle pagine del L'Unità (anche se pubblicarlo potrebbe essere un primo passo per rompere quel silenzio che si denuncia), ri-pubblico anche qui, come già altrove, Sul presunto silenzio delle donne e le politiche di disciplinamento. Buona lettura e riflessioni.
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Adelaide Coletti, Sul presunto silenzio delle donne e le politiche di disciplinamento
Sono numerosi i campi privilegiati d’osservazione della capacità dello Stato e delle sue istituzioni di esercitare attraverso le politiche di parità un’azione disciplinante in materia di relazione tra i generi. Si può ad esempio far riferimento alla gestione pubblica della violenza maschile sulle donne che si consolida assieme ai dispostivi sullo straniero, la marginalità, la psicopatologia, in una specie di esternalizzazione del problema. Si focalizza l’attenzione sulla donna che da soggetto di autodeterminazione diventa oggetto di normazione di uno Stato padre-padrone che si arroga il diritto di proteggerla con soluzioni legislative di stampo repressivo, e così procedendo recepisce e allo stesso tempo rafforza il pesante retaggio patriarcale della nostra società, salvo poi – per dirla con le parole dell’appello “maschilismo di stato, morte della democrazia”- ricoprire il ruolo di utilizzatore finale di prestazioni femminili per i propri svaghi, giocati in luoghi destinati a fini pubblici. Legittimare lo Stato nel ruolo di protettore significa dipendere dalle sue regole, le quali operano una costante divisione dei “bisognosi”. Così le donne che si comportano “ per bene” sono degne di protezione, alle altre che generalmente non sono italiane, ne bianche sono riservati i pacchetti sicurezza, la legge Carfagna, i centri di detenzione.
[continua QUI]
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lunedì 7 settembre 2009
Omofobia non è un concetto neutro
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Siamo imprevisti/e/* come chi arriva da lontano, come chi arriva dalla povertà. Qualcuno/a odia noi perché in noi si rispecchia e cerca di distruggere con noi il suo desiderio che ha sempre represso, negato, nascosto, magari celandosi dietro uniformi, abiti talari o monacali, maschere neonaziste. Qualcuno/a freddamente ci nega, ci cancella dalla scena pubblica, perché vuole ri/costruire una società patriarcale e familista i cui pesi ricadano sulle donne prigioniere dei ruoli della tradizione; questo/a qualcuno/a vede nei gay, nelle lesbiche e nelle persone trans ostacoli al suo progetto reazionario. Qualcuno/a ci usa come capro espiatorio, come facile bersaglio perché una società impoverita, priva di diritti, ridotta a plebe cieca, possa sfogare la propria rabbia e le proprie frustrazioni. E’ già successo, settanta anni fa, e il gioco si sta ripetendo; di nuovo ci troviamo in compagnia di minoranze, immigrate/i, diverse/i a vario titolo. Qualcuno/a finge di prevederci, ma pretende che assomigliamo alla sua idea di noi e ci chiede di rinnegare dei pezzi di noi, in nome del quieto vivere e del decoro.
Qualcuno/a/* di noi finge di non essere imprevisto/a/*, cerca di passare inosservato/a/o, di scivolare con eleganza sulla scena senza turbare, senza spostare la polvere.
Qualcuno/a/* di noi cerca di vincere la paura mettendosi dalla parte degli aggressori, stabilendo gerarchie interne fra chi è più rispettabile e chi lo è meno, cercando attivamente di smarcarsi da altre vittime dell’odio. Qualcuno/a/* di noi non si meraviglia della violenza omofobica, ha fatto della paura un’abitudine. Qualcuno/a/* di noi si meraviglia della violenza omofobica, la vede come un prodigio cattivo senza cause riconoscibili, non legge la connessione fra le Svastichelle e la banalizzazione del neofascismo, fra l’estrema destra italiana e le croci celtiche nascoste dietro la rispettabilità delle cravatte. Qualcuno/a/* per darsi un ruolo fa spettacolo, fa la pagliaccia di lusso, il clown di regime, la trasgressione da fine settimana e rinnega la sua favolosità per un biglietto di seconda classe sul Titanic. Siamo tutte/i/* sul Titanic, la nostra società è il Titanic e la nostra società è anche l’iceberg contro cui il Titanic si schianterà. Lesbiche, gay e trans dall’Europa, dalle liberate città del possibile osservando un’Italia senza orgoglio civile, senza solidarietà sociale, senza difesa della laicità, senza memoria della sua storia resistente capiscono che in questo paese sfibrato lesbiche, gay e trans nel migliore dei casi saranno imprevisti/e/* e ignorati/e/*, nel peggiore aggrediti/e/* e cancellati/e/*. Lesbiche, gay e trans dall’Italia osservano i gommoni dell’immigrazione, sanno in cuor loro che chi odia quegli uomini e quelle donne imprevisti/e prima o poi se la prenderà con gli imprevisti/e della sua “etnia”. È già successo: i triangoli rosa di Auschwitz accanto alle stelle gialle ebraiche, ai triangoli neri asociali, ai triangoli scuri zingari. C’è chi lo rimuove, fra noi, c’è chi fa finta di niente, ma in cuor nostro tutti e tutte lo sappiamo.
Qua o ci salviamo tutti/e/* o non si salva nessuno-nessuna-nessun* Noi lesbiche, gay e trans sappiamo anche che i fondamentalismi e i clericalismi sono distruttivi: cambiano i nomi degli dèi, cambiano i paramenti dei sacerdoti, ma resta costante l’odio per chi è imprevisto/a/*. Contro lesbiche, gay e trans si cimentano improbabili alleanze, fra cattolicesimo e islamismo, fra stalinismo e ortodossia, fra neonazismo e pseudo psicanalisi. L’alleanza però che ci ferisce di più è quella fra la paura lgbt e l’opportunismo del potere.
Eppure noi ci siamo, continuiamo a vivere e a cercare la felicità, come tutti/e/*, come chi scappa e come chi arriva.
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Vedi anche Queer* against racism
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Il solito messaggio ...
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Partito democratico in burkini
La gestione politica di questa performance in burkini la lascio alle/ai protagonisti, da parte mia, da modesta non-elettrice del Pd, mi limito a dare qualche risposta all'elettrice. La tesi secondo la quale indossare il burkini è una scelta che come donna non si può condividere, è insostenibile, a meno di presupporre che quelle che lo indossano non sono donne o siano una sottospece di donne. Il riferimento alle ragazzine affogate in Turchia (ma ci sono stati anche altri casi, che ora nella fretta non riesco a documentare) è terroristico (nel senso letterale: atto a incutere paura, terrore) oltre che falso. Quelle donne sono morte non perché indossavano il burkini, ma perché facevano il bagno completamente vestite dalla testa ai piedi, con abiti di tessuti che bagnati pesano come piombo. Il burkini (inventato da una donna, la stilista libanese Aheda Zanetti), è fatto invece (come i costumi recentemente indossati dalla campionessa di nuoto Federica Pellegrini) di uno speciale materiale che non si incolla alla pelle, non si inzuppa come i tessuti tradizionali e lascia una completa libertà di movimento. Anche il riferimento alla legge francese sulla "riconoscibilità del volto" è terroristica e fuorviante perché il burkini non ha nulla a che fare con il burqa, visto che lascia il volto scoperto.
Il burkini, oltre che un'abile operazione commerciale (come il pacchetto Vacanze&Ramadan proposto da un imprenditore italiano di Rimini o i cosmetici halal che alimentano un business di oltre mezzo miliardo di dollari all'anno, ma in questi casi nessuna/o grida allo scandalo), è in un certo senso una forma di secolarizzazione delle tradizioni (e tra queste della tradizione islamica) e credo che andrebbe interpretato nella sua ambivalenza: da una parte mantiene un legame con le tradizioni ma dall'altro è anche sintomo di un processo in corso che non può essere schiacciato sulla rigida osservazione dell'ortodossia. Per lo meno non da chi ha (o dovrebbe avere) a cuore la lotta ad ogni forma di integralismo.
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sabato 5 settembre 2009
Ma (donne), madri, assassine ...
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Migranti e politica dei respingimenti su Rai 3
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giovedì 3 settembre 2009
In ricordo di Egidio Monferdin
Arrestato il 21 dicembre 1979 nell’ambito dell’inchiesta 7 aprile, ha trascorso più di 7 anni in varie carceri della Penisola, pagando di persona la rivolta politica di una generazione e di una classe: in prigione però economizza l’investimento nella propria difesa legale per cercare di aiutare i comuni nella loro pratiche legali e nel loro desiderio di leggere e di apprendere.
Stabilitosi a Bologna verso la metà degli anni ’90, Egidio vive la nuova e ricca stagione che inizia con la campagna No-Ocse e la «Libera Università Contropiani». Attraversa per intero il momento tumultuoso che si inaugura a Genova nel 2001 impegnandosi nel Bologna Social Forum e nello spazio pubblico di XM24 e, fino a oggi, nella militanza nel Coordinamento Migranti Bologna. Lavora però anche allo sviluppo della tipografia interna al carcere della Dozza: un progetto che parla di libertà e si chiama «Il profumo delle parole». In questo decennio Egidio mostra, ancora una volta, una chiara intelligenza dei cambiamenti e delle occasioni che il movimento offre, ma anche una notevole tensione critica verso i limiti che maturano. È stato fino in fondo convinto della novità politica rappresentata dai migranti in Italia e in Europa. Centinaia di migranti l’hanno conosciuto nelle assemblee e nelle riunioni, l’hanno ascoltato, hanno discusso con lui, hanno condiviso con lui il lavoro di organizzazione di un movimento autonomo dei migranti. Riservato e composto, Egidio Monferdin possedeva una calma suprema nelle situazioni difficili. Forse era questa la dote che molti gli invidiavano e che gli ha permesso di affrontare, sullo sfondo di un sorriso, brevi attimi fulminanti e lunghe riunioni complicate. Questo oggi ci resta di Egidio. Questo già ci manca di lui: la capacità di esserci sempre e al presente, senza nostalgie e senza retorica.
L’appuntamento per dare l’ultimo saluto a Egidio è oggi alle 12,30 alla camera mortuaria dell’ospedale Malpighi (via Pizzardi 1) e alle 14,45 davanti all’entrata principale del Cimitero della Certosa di Bologna". (Egidio Monferdin, il sorriso tenace della rivolta di classe, di Ferruccio Gambino e Maurizio Bergamaschi, Il Manifesto, 3 settembre 2009)