Ho appreso ieri sera della morte di Carole Roussopoulos. Il suo primo film che ho visto, se la memoria non mi inganna, credo sia stato S.C.U.M, parecchi anni fa, durante una delle mie tante giornate/notti en promenade per Parigi, tra cinema e femminismo. Film bellissimo, girato nel 1976, con una bellissima Delphine Seyring che legge S.C.U.M Manifesto di Valerie Solanas, mentre la regista batte a macchina e la televisione trasmette immagini di donne che protestano contro al guerra in varie parti del mondo. All'epoca, Roussopoulos era quasi del tutto sconosciuta in Italia (del resto solo recentemente le è stata dedicata una rassegna a Trieste), ma già un mito in Francia. Aveva cominciato a fare video a Parigi sul finire degli anni '60, acquistando la prima videocamera su consiglio di Jean Genet, dopo essere stata licenziata da Vogue su due piedi (per ulteriori notizie biografiche, sul sito di Divergences trovate degli estratti dell'intervista a Roussopoulos pubblicata da Nouvelles Questions Féministes solo qualche mese fa). Io, in quegli anni di nomadismo tra Italia e Francia per mantenermi facevo una miriade di lavoretti e tra questi (senza troppa convinzione, certo) anche fotografie di moda e il fatto che Roussopoulos fosse passata anche lei per certi ambienti per potersi poi dedicare ad altro aveva un non so che di consolante (ero più giovane). Negli anni mi è capitato di vedere, in diverse occasioni, i suoi film, credo la maggior parte se non proprio tutti. Da Genet parle d'Angela Davis, al film realizzato con Christine Delphy per i cinquant'anni de Il secondo Sesso di Simone de Beauvoir, fino a Debout! Une histoire du mouvement de libération des femmes, forse il suo film più famoso che ho visto e rivisto: al festival di Créteil nel 2000, ancora alla fine di un incontro organizzato da un collettivo femminista parigino da qualche parte nel diciannovesimo arrondissements, l'ultima volta al Centre George Pompidou credo o forse alla Cinémathèque. Mi rendo conto solo ora, tentando di rimettere a posto frammenti di ricordi, immagini, parole, quanto questa donna avesse toccato nei suoi film nel corso degli anni tutte le questioni che ritengo (riteniamo) oggi così importanti e centrali: aveva dato parola alle outsiders - dalle sex workers (che negli anni 70 si chiamavano ancora prostitute) alle donne migranti -, aveva parlato di aborto, di stupro e di violenza domestica (Viol coniugal, viol à domicile si intitola uno dei suoi lavori) e filmato le prime uscite pubbliche del F.A.R.H (Front Homosexuel d'Action Révolutionnaire). Ma soprattutto era stata capace di essere non soltanto una cineasta (un'artista, un'intellettuale, una teorica) che guarda le cose restandone fuori (come tanti/e) ma soprattutto una militante, un'attivista. Era stata in Palestina, aveva insegnato l'uso della videocamera a Black Panthers e altre/i militanti di diversi movimenti di liberazione (ad Algeri e altrove) e soprattutto era stata interna al movimento femminista fin da principio. Mi manca una frase, una parola, per chiudere questo articolo per Carole Roussopoulos, forse posso scrivere semplicemente Debout!
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