Sabato prossimo, 30 ottobre, al Circolo Glbtq Maurice (per le/i non-sabaude/i, il Maurice è a Torino, in via Stampatori 10), ci sarà un incontro seminariale con Fabrizia Di Stefano autrice de Il corpo senza qualità. Arcipelago queer. Un'occasione per discutere di teorie/politiche glbtq, a partire da un testo complesso, che intesse un profondo dialogo con la cultura filosofica francese contemporanea, con la psicanalisi, col femminismo e col postfemminismo, con la queer theory anglosassone e alcuni dei grandi "nodi" del presente. In attesa vi lascio alla lettura della recensione di Roberto Ciccarelli a Il corpo senza qualità.
"Oscillando tra depressione e euforia - perché così vuole il clima dell'epoca - passa inosservata la conflittualità sociale a bassa intensità che gli ultimi anni hanno espresso. È spesso troppo oneroso spiegare per la politica con la maiuscola, e per le scienze che avrebbero dovuto trovare percorsi alternativi per comprendere il mondo a dispetto di questa politica, ricordare che tali conflitti hanno investito la vita personale e la relazione tra i sessi, politicizzando la questione omosessuale. Poi vennero le campagne anti-nucleari, ecologiste, anti-aids e anti-globalizzazione. I sans papiers continuano a denunciare il razzismo di Stato. A chi più seriamente ha partecipato a questi movimenti resta il dubbio che il loro antagonismo plurale e microfisico non abbia prodotto alternative. Ciò che nemmeno i filosofi osano più nominare da almeno vent'anni - la soggettività politica - sembra essere esplosa in lacerti sul mercato delle identità e delle nicchie culturali. Qualcuno è arrivato a sostenere che l'avvento di questi movimenti avrebbe gettato un ponte tra le pratiche politiche e di pensiero che dagli anni Sessanta hanno decostruito la soggettività (maschile, eterosessuale, patriarcale) e le teorie neo-liberiste che hanno un unico sovrano: il cittadino-consumatore. Il libro di Fabrizia Di Stefano riprende i fili di questa impasse in cui è piombato il pensiero radicale e riconduce il problema a termini meno corrivi. Ed eccoci alla questione: non esiste alcuna alleanza, volontaria o involontaria, tra la (nuova) sinistra e la destra in nome del turbocapitalismo. Siamo seri, e il dibattito teorico sulla politica lo è sempre di meno, la crisi deriva dalle stesse politiche della liberazione e non da una loro segreta intesa con il «nemico». Il problema non si annida nelle origini, ma nelle pratiche. È politico, non ontologico. Il queer a cui Di Stefano dedica un libro arduo e personale, parlando di sé prima ancora della teoria, è una delle pratiche che hanno affrontato la crisi delle politiche radicali. Il queer è stato descritto come un'eterosessualità irriducibilmente nomade, una neo-omosessualità fondata sulla decostruzione dell'idea di genere sessuale in accordo con il nuovo femminismo ed infine come pratica che non risponde a identità predefinite e costruisce una politica in base al posizionamento del soggetto rispetto al proprio desiderio. Al di là delle differenze tassonomiche che lo hanno reso un arcipelago e non un'isola, Di Stefano considera il queer come una pratica dei desideri e dei corpi non riducibili alla norma eterosessuale. Questa pratica politica ha amplificato la rottura della rappresentazione oppositiva tra omosessualità e eterosessualità, confermando che le soggettività vivono oggi in uno spazio politico non riducibile alla democrazia rappresentativa e alle sue infinite aberrazioni populistiche e spettacolari. L'autore individua dunque nel queer una «implicazione malinconica» dovuta alla difficoltà che lo accomuna al pensiero radicale contemporaneo. Nella sua prassi «performativa» emergerebbe il «sintomo» di cos'è diventata oggi la soggettività. Vittima della frammentazione postmoderna, essa continua a coltivare il desiderio di una «fraternità senza padri né madri». Non è difficile incontrarla nelle dialettiche tra i sessi, come nei legami sociali che si affermano al di là della politica rappresentativa. Il problema è che questi legami restano allo stato gassoso e non trovano la leva per diventare politici. Sono ostaggi della pulsione alla disidentificazione privata che abbandona la politica all'irrigidimento di un sistema di valori che riscopre il religioso al limite del mistico, il securitarismo che corteggia il razzismo per esigenze elettorali. La soluzione - scrive Di Stefano - non può venire dalle teorie dell'eccedenza del sociale (la moltitudine, il potere costituente). Un soggetto politico non può emergere dal contesto che lo neutralizza. Resta ancora da capire se basti, invece, rimettersi alla contingenza e alle pratiche di comunicazione elaborate dai soggetti perché nasca un'alternativa realmente efficace" (R. Ciccarelli, Il manifesto, 1 ottobre 2010).
"Oscillando tra depressione e euforia - perché così vuole il clima dell'epoca - passa inosservata la conflittualità sociale a bassa intensità che gli ultimi anni hanno espresso. È spesso troppo oneroso spiegare per la politica con la maiuscola, e per le scienze che avrebbero dovuto trovare percorsi alternativi per comprendere il mondo a dispetto di questa politica, ricordare che tali conflitti hanno investito la vita personale e la relazione tra i sessi, politicizzando la questione omosessuale. Poi vennero le campagne anti-nucleari, ecologiste, anti-aids e anti-globalizzazione. I sans papiers continuano a denunciare il razzismo di Stato. A chi più seriamente ha partecipato a questi movimenti resta il dubbio che il loro antagonismo plurale e microfisico non abbia prodotto alternative. Ciò che nemmeno i filosofi osano più nominare da almeno vent'anni - la soggettività politica - sembra essere esplosa in lacerti sul mercato delle identità e delle nicchie culturali. Qualcuno è arrivato a sostenere che l'avvento di questi movimenti avrebbe gettato un ponte tra le pratiche politiche e di pensiero che dagli anni Sessanta hanno decostruito la soggettività (maschile, eterosessuale, patriarcale) e le teorie neo-liberiste che hanno un unico sovrano: il cittadino-consumatore. Il libro di Fabrizia Di Stefano riprende i fili di questa impasse in cui è piombato il pensiero radicale e riconduce il problema a termini meno corrivi. Ed eccoci alla questione: non esiste alcuna alleanza, volontaria o involontaria, tra la (nuova) sinistra e la destra in nome del turbocapitalismo. Siamo seri, e il dibattito teorico sulla politica lo è sempre di meno, la crisi deriva dalle stesse politiche della liberazione e non da una loro segreta intesa con il «nemico». Il problema non si annida nelle origini, ma nelle pratiche. È politico, non ontologico. Il queer a cui Di Stefano dedica un libro arduo e personale, parlando di sé prima ancora della teoria, è una delle pratiche che hanno affrontato la crisi delle politiche radicali. Il queer è stato descritto come un'eterosessualità irriducibilmente nomade, una neo-omosessualità fondata sulla decostruzione dell'idea di genere sessuale in accordo con il nuovo femminismo ed infine come pratica che non risponde a identità predefinite e costruisce una politica in base al posizionamento del soggetto rispetto al proprio desiderio. Al di là delle differenze tassonomiche che lo hanno reso un arcipelago e non un'isola, Di Stefano considera il queer come una pratica dei desideri e dei corpi non riducibili alla norma eterosessuale. Questa pratica politica ha amplificato la rottura della rappresentazione oppositiva tra omosessualità e eterosessualità, confermando che le soggettività vivono oggi in uno spazio politico non riducibile alla democrazia rappresentativa e alle sue infinite aberrazioni populistiche e spettacolari. L'autore individua dunque nel queer una «implicazione malinconica» dovuta alla difficoltà che lo accomuna al pensiero radicale contemporaneo. Nella sua prassi «performativa» emergerebbe il «sintomo» di cos'è diventata oggi la soggettività. Vittima della frammentazione postmoderna, essa continua a coltivare il desiderio di una «fraternità senza padri né madri». Non è difficile incontrarla nelle dialettiche tra i sessi, come nei legami sociali che si affermano al di là della politica rappresentativa. Il problema è che questi legami restano allo stato gassoso e non trovano la leva per diventare politici. Sono ostaggi della pulsione alla disidentificazione privata che abbandona la politica all'irrigidimento di un sistema di valori che riscopre il religioso al limite del mistico, il securitarismo che corteggia il razzismo per esigenze elettorali. La soluzione - scrive Di Stefano - non può venire dalle teorie dell'eccedenza del sociale (la moltitudine, il potere costituente). Un soggetto politico non può emergere dal contesto che lo neutralizza. Resta ancora da capire se basti, invece, rimettersi alla contingenza e alle pratiche di comunicazione elaborate dai soggetti perché nasca un'alternativa realmente efficace" (R. Ciccarelli, Il manifesto, 1 ottobre 2010).
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