martedì 21 febbraio 2012

Un corso di italiano per / con donne migranti : quando anche la lingua è un terreno di lotta

"Ho lavorato per cambiare il mio modo di parlare e di scrivere [...], ho affrontato il silenzio e l'incapacità di essere articolata [...]. Spesso, parlando con radicalità di dominio, parliamo proprio a chi domina. La loro presenza cambia la natura e la direzione delle nostre parole. La lingua è anche un luogo di lotta. Ero solo una ragazzina quando ho letto le parole di Adrienne Rich, 'questa è la lingua dell'oppressore, ma ho bisogno di parlarti'. Questa lingua che mi ha consentito di frequentare l'università, di scrivere una tesi di laurea, di sostenere colloqui di lavoro, ha l'odore dell'oppressore [...]. Noi siamo uniti nella lingua, viviamo nelle parole. La lingua è anche un luogo di lotta. Avrei il coraggio di parlare all'oppresso e all'oppressore con la stessa voce? Avrei il coraggio di parlare a voi con un linguaggio che scavalchi i confini del dominio - un linguaggio che non vi costringa, che non vi vincoli, che non vi tenga in pugno? Il linguaggio è anche un luogo di lotta. Gli oppressi lottano con la lingua per riprendere possesso di se stessi, per riconoscersi, per riunirsi, per ricominciare. Le nostre parole significano, sono azione, resistenza. Il linguaggio è anche un luogo di lotta". Dedico questi frammenti tratti da Elogio del margine di bell hooks a Shaimaa, Inaam, Joy, Caterina, Rahel, Hoda, Graciene, Tamanna, Elize, Samah e Ibtisam, per tre mesi e mezzo mie "allieve" in un corso di italiano, allieve dalle quali ho probabilmente imparato molto di più di quanto ho insegnato. Perché - seppur costretti spesso sotto la dicitura/etichetta di "corso di italiano per donne migranti" -, questi corsi possono realmente divenire momenti di mutuo-apprendimento e ricerca di orizzontalità, luoghi in cui cercare insieme di affinare le armi - anche linguistiche, ma non solo - per opporci ai rapporti di dominio esistenti e sperimentare un'altra lingua, una lingua attraverso la quale, come scrive bell hooks,riconoscerci e cominciare percorsi comuni di lotta e resistenza. Credo che sia quello che, in questi tre mesi e mezzo di corso, abbiamo tentato di fare, talvolta con un po' di fatica, ma sempre sostenendoci e "insegnandoci" l'un l'altra: per tutto questo (e tanto altro che resta senza parole) devo ringraziare, pubblicamente. Un grazie e un abbraccio dunque a tutte: a quelle fra loro che saranno dopodomani nuovamente "in aula" per cominciare un altro pezzetto di percorso insieme e a quelle che invece non ci saranno, alle quali auguro che tutto possa davvero essere come sperano e desiderano, e che - in un modo o nell'altro - le nostre strade si incrocino ancora.

3 commenti:

Unknown ha detto...

mi piace che un corso di italiano sia diventato un momento di incontro e scambio, arrivando a capire che il linguaggio oltre a essere comunicazione può diventare barriera. Complimenti per l'esperienza e per aver creato questo clima di mutuo apprendimento e ricerca di orizzontalità con le tue allieve!!! ^.^

Minerva ha detto...

Bravissima mia cara, ho fatto le stesse cose in passato, e - al di là dell'esperienza in sé in cui ho imparato in modo incredibile da loro - sono cresciute dandosi decisamente fortissimi stimoli intellettuali reciproci delle mediatrici culturali agguerrite e brillanti ;-)

Marginalia ha detto...

Buongiorno care!
Sono contenta che condividiate e apprezziate tutto quello che (emozionalmente e intellettualmente) c'è dietro a questo post.
un abbraccio
v.