De Delacroix à Kandinsky. L'Orientalisme en Europe è il titolo della mostra attualmente esposta a Bruxelles ( Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, fino al 9 gennaio 2011). Una mostra ambiziosa non solo per le dimensioni (più di 150 le opere esposte, dalla celebre La Petite Baigneuse di Ingres ad alcune interessanti tele del meno noto Jaroslav Cermak, passando per l'italiano Fabio Fabbi) ma soprattutto per il tentativo dichiarato di fare consapevolmente i conti con le implicazioni politiche di quello che oggi, sulla scorta degli scritti di Edward Said, definiamo orientalismo. L'impressione (a caldo) è che quest'ultimo nodo non sia stato pienamente sciolto, nonostante la presenza - all'inizio del percorso espositivo - di alcuni schermi che trasmettono a ciclo continuo una serie di "testimonianze". Un pannello esplicativo dei/delle curatori/curatrici della mostra spiega il senso dell'istallazione: "L'esposizione mette in scena una visione del Vicino e Medio Oriente che, a nostro avviso, necessitava di una attualizzazione, frutto non più di uno sguardo europeo e colonialista ma di una società oramai diversificata sul piano culturale" (traduzione nostra). L'accento posto sulle "culture" è accentuato dall'atmosfera decisamente "esotizzante" che si respira nella sala pre-mostra - un'esposizione di oggettistica varia in vendita (dai Cd musicali, ai saponi ed essenze, per finire ai bigliettini di Natale con motivi orientaleggianti ...
3 commenti:
Abito in un paese che ha una frazione nel suo intero comune. Fra frazione e paese, per il fatto stesso che ci sono due chiese e due campanili, si respira da sempre un certo razzismo o almeno un sano campanilismo. Fra i due agglomerati di case, passa un tranquillo canale di pianura. A ben pensarci, qui, tutti i paesi hanno almeno una frazione, è una questione di prestigio coloniale. Se hai una frazione hai un impero, se non hai nemmeno una frazione non ti spettano nemmeno i cartelli con le scritte bianche a fondo blu ai bivi delle strade di frontiera (quelle tra un paese e quello immediatamente confinante intendo). Più ci penso e più mi rendo conto che un canale o un fosso c'è sempre di mezzo.
Non lasciamoci dividere da un fosso, che ci sarà mai di male nel farci sopra un ponte? Tutti hanno un ponte che unisce paese e frazione.
A ben pensarci, noi del paese chiamiamo il ponte seguito dal nome della frazione, quelli della frazione chiamano il ponte seguito dal nome del paese.
Ora mi chiedo se noi parliamo di orientalismo gli orientali guarderanno a noi come degli occidentali con dell'occidentalismo? e l'Africa guarderà a noi come pregni di un certo artidismo e gli inglesi a noi come essenzialmente antartidisti?
per farla breve, posso garantirvi che nel mio piccolo, spesso a casa "mia" mi sento uno straniero, e senza saperlo sono passato incoscientemente (senza prenderne coscienza) da "è questa l'ora di tornare?" a "ma perché non te ne vai a casa tua?".
Non so mai se sentirmi uno sfruttato o un temibile migrante che tende a marcare nuovo territorio.
Tento di rispondere ai commenti anche se non sono certa di aver ben compreso. I ponti si devono attraversare certo, ma possono essere attraversati in tante maniere diverse. E non tutte queste maniere sono "giuste". Quello che definiamo "orientalismo" (e critichiamo) non sono certo tutte le maniere in cui l'Occidente si è rapportato al cosiddetto "oriente", ma solo quelle che hanno derminato un'oggettivazione dell'altro/a, una sua chiusura in forme essenzializzate, esotizzate e infine anche razzializzate.
In quanto al secondo commento temo veramente di non capire, mi scuso.
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