domenica 25 gennaio 2009

Per non tornare alle Crociate

Basta Guantanamo, basta spaghetti, è stato uno degli slogan scandito dai migranti protagonisti ieri di una determinata (ma pacifica e direi quasi gioiosa, almeno fino all'arrivo delle camionette ...) "fuga di massa" dal "centro di prima accoglienza" (?) di Lampedusa.
Questi migranti in rivolta non hanno bisogno di parlare di lager, chiamano le cose con il loro nome, semplicemente. Sanno che questo basta (dovrebbe bastare) a descrivere l'inferno in cui sono costretti a vivere (talvolta per mesi), le terribili condizioni di vita, il sovraffollamento, i servizi igienici orribili, con la puzza che arriva fino alle camerate impedendo di respirare, gli abusi continui, l'impossibilità - anche momentanea -, di uscire dal perimetro del centro (checché ne dica Berlusconi), i tanti episodi di "ordinario" razzismo. Abusi già denunciati dal giornalista Fabrizio Gatti (che, fingendosi "clandestino", riuscì a vivere per una settimana nel Cpa), alcuni dei quali (imposizione a migranti di fare il saluto militare, uso manette di plastica) immortalati nel video di Mauro Parissone, nei giorni del vergognoso (e negato) maquillage del centro in vista di una ispezione Ue nell'ottobre 2005.
Con "Basta Gunatanamo, basta spaghetti", i migranti detenuti illegalmente a Lampedusa sanno di cosa parlano, e sanno anche cosa chiedono. Chiedono la chiusura di centri di detenzione illegale (perché questo sono) come Lampedusa e Guantanamo, e lo chiedono in un paese dove sembra che le uniche chiusure legittime o tollerabili siano quelle dei centri religiosi, chiusure invocate a gran voce dalla destra razzista e xenofoba per alimentare il fantasma della guerra di religione e dello scontro di civiltà (mi riferisco alle moschee ovviamente, non al Vaticano, alle sedi dei vari movimenti per la vita e alle super finanziate scuole cattoliche ...) come anche dei centri antiviolenza (dove la chiusura non è apertamente invocata ma resa probabile dai continui tagli ai finanziamenti) o di quei centri di aggregazione, diffusione e trasmissione di cultura "altra", come dimostra il recente sgombero di Conchetta a Milano (e su Conchetta rinvio alla bella testimonianza di Giovanni Cesareo e al comunicato Conchetta, la nostra storia, la nostra libertà dell'associazione Storie in movimento e di Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale).
Mentre il capo del nostro governo minimizza la rivolta di Lampedusa (affermando che "E' tutto sotto controllo. Mica il centro è un lager. Possono uscire, vanno a prendere una birra in paese come tutti i giorni"), il nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Hussein Obama, annuncia la volontà di chiudere Guantanamo, dando un po' di speranza nel cambiamento in quant*, pur sapendo quello che Obama non potrà essere (non potrà e non riuscirà a cambiare tutto e subito, nè a Guantanamo, nè in Iraq, nè in Medio Oriente, nè nel suo stesso paese), si sono sentiti parte di quell'esplosione di gioia che, all'annuncio della vittoria su Bush, portò in strada milioni di persone, soprattutto nei (cosiddetti) ghetti abitati da latinos, neri, asiatici e altre "minoranze" in tutti gli Stati Uniti, nei sobborghi di Londra e altre metropoli, nelle banlieues parigine, nelle favelas e nelle baraccopoli africane.
E' necessario sostenere questa volontà di chiudere Guantanamo (una petizione giace, già da qualche annetto, nella rubrica Urgenze nel blogroll qui di fianco: se non l'avete ancora firmata, fatelo! ... e fate circolare!), chiedere la chiusura dei vari centri di "accoglienza" e "permanenza" molto poco temporanei sparsi per l'Italia, chiedere la liberazione di coloro che sono detenuti illegalmente nelle "prigioni speciali" generate dalla "lotta al terrorismo" come, ad esempio, Abou Elkassim Britel, sostenere le lotte dei/delle migranti e tutte le forme di resistenza dignitosa, come quella del giornalista dell'emittente Al-Baghdadia, Muntadar al Zaidi, (o Muntaẓar al-Zayidī, è difficile non perdersi nei meandri delle traslitterazioni, comunque in arabo dovrebbe essere منتظر الزيدي ) che a metà dicembre a Baghdad durante una conferenza stampa congiunta del premier iracheno Nuri al Maliki e del presidente (oramai ex) statunitense George Bush, lanciò le scarpe contro quest'ultimo (qui il video per chi ancora non lo avesse visto).
Ma resistere è rischioso, per alcun* più di altr*. Non conosciamo ancora le conseguenze che ci saranno per i migranti che hanno protestato a Lampedusa, confuse sono anche le notizie su Muntadar al Zaidi (sappiamo di certo che rischia fino a 15 anni di carcere e che il processo che doveva tenersi il 31 dicembre è stato rinviato) e poco si riesce a sapere delle condizioni di vita dei/delle migranti detenuti illegalmente, dei rimpatri forzati, della sorte che attende centinaia di queste persone una volta rinviati "nei paesi di partenza" ...
Sostenere queste lotte significa anche non cadere nelle trappole costituite, qui in Occidente, dai discorsi che fomentano l'idea di uno "scontro di civiltà", e di una "guerra di religione", trappole che servono (tra l'altro) a distogliere lo sguardo dei/delle più dai problemi reali e urgenti, ma che servono anche, all'occorrenza, ad incriminare singoli individui come dimostra la vicenda di Rafia, compagno da sempre impegnato nella lotta per i diritti dei/delle migrant*, attivista dell'associazione Sotto i ponti e del Coordinamento migranti di Bologna, indagato dalla procura per la preghiera islamica in piazza Maggiore a conclusione della manifestazione per Gaza del 3 gennaio scorso.
Rafia non è un "fondamentalista", e questa vicenda è solo l'ennesimo tentativo di criminalizzare e togliere agibilità politica a quant* si sono mobilitati in questi anni per la chiusura dei centri di accoglienza e permanenza "temporanea", contro la legge Bossi-Fini, contro il pacchetto sicurezza, contro l'uso in termini razzisti e securitari della violenza sulle donne, per la libertà di tutti e tutte.
E non posso, anche (o forse soprattutto) come laica, non riconoscermi nello striscione portato ieri da un gruppo di donne migranti alla manifestazione regionale per Gaza a Bologna: "Se pregare è un reato in che democrazia siamo?"
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Per l'immagine, vabbè lo so, è un'altra versione della stessa bellissima donna che ho usato innumerevoli altre volte, l'ultima poco tempo fa (a proposito: il messaggio è sempre valido), direte che sono monotona o forse monogama, ma cosa volete farci io l'adoro ...
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1 commento:

Enzo Patronelli ha detto...

Quello che vogliono fare a Lampedusa, oltre ad essere un atto razzista e reazionario senza alcuna pietas umana verso quei poveri disperati che rischiano la vita in traversate su gusci di noce, è anche contro il normale buonsenso. Come fa un'isola che dipende da collegamenti spesso interrotti per i beni di prima necessità per i suoi abitanti farsi carico di tutti i migranti d'Italia e buona parte di quelli europei? L'odio che acceca le loro menti è secondo solo al loro egoismo. Un abbraccio resistente.