Circa tre anni fa pubblicavamo qui in Marginalia un articolo dal titolo Sorvegliare e stuprare. Vi si denunciava, e non per la prima volta, l'uso in termini di emergenza sicuritaria e di "caccia allo straniero" della violenza sulle donne (italiane). Scrivevamo che l'aspetto più dirompente della grande manifestazione femminista e lesbica del novembre 2007 a Roma contro la violenza sulle donne era stata proprio quella di aver ribadito con forza la nostra volontà di non essere strumentalizzate per fomentare il cosiddetto scontro di civiltà e giustificare pratiche razziste e sessiste: la violenza contro le donne - dicevamo - non ha confini geografici, né di cultura o religione ma è l’espressione di un violento rapporto di potere esercitato dagli uomini (intesi non come categoria “naturale”, ma “sociale”) sulle donne. Era stato cruciale allora insistere sul fatto che la violenza sulle donne (italiane e non) avviene per la maggior parte "in famiglia" o tra le cosiddette "pareti domestiche" ed è esercitata, in primis , da mariti, amanti, padri, fratelli, conoscenti (molto spesso italianissimi). In Sorvegliare e stuprare però scrivevamo anche che insistere sulla denuncia delle violenze in ambito "familiare" rischiava di mettere in ombra altri "luoghi" (ambienti di lavoro, canoniche, ospedali, questure, galere ...) in cui le donne subiscono quotidianamente stupri, molestie e ricatti sessuali e di come - tra queste diverse "quattro mura" - fossero le donne migranti ad essere i soggetti più ricattabili grazie anche al cosiddetto "pacchetto sicurezza" che creava il terreno favorevole per soprusi e ricatti di ogni tipo. Raramente, scrivevamo, "queste vicende sono (o possono essere) denunciate e quando lo sono non guadagnano l'onore della cronaca ufficiale. Non ci è dato sapere quante 'badanti' moldave o ucraine sono oggetto di pesanti molestie sessuali dai loro stagionati datori di lavoro, quante donne migranti subiscono ricatti sessuali - in cambio di un aiuto per ottenere il permesso di soggiorno -, dal prete o dal poliziotto di turno. Non ci è dato sapere soprattutto delle tante violenze subite dalle donne migranti tra le quattro mura di un Cie". E ricordavamo alcuni episodi, come il tentativo di stupro ai danni di una donna nigeriana da parte dell'ispettore-capo del Cie di via Corelli a Milano o la vicenda che proprio in quei giorni aveva coinvolto il direttore del carcere di Genova, accusato di aver ripetutamente molestato e costretto a rapporti sessuali una detenuta di origini marocchine. Oggi, a distanza di tre anni (che ci sembrano secoli) leggiamo su Zic di un poliziotto - assistente capo dell'ufficio immigrazione della questura di Bologna - che ha costretto un numero imprecisato di donne migranti a rapporti sessuali con la minaccia che, se non avessero accettato, la pratica per il loro permesso di soggiorno sarebbe rimasta "sepolta" a tempo indefinito. Ci chiediamo perché questo ed altri episodi simili non ricevano la stessa attenzione (e denuncia) di cui è stata oggetto, ad esempio, la pornocrazia berlusconiana. Forse ciò non offende la "dignità delle donne italiane"?
1 commento:
Brava V. Concordo, sottoscrivo e tra-sporto.
abrazo.
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