sabato 25 settembre 2010

Per Faith, condannata a morte dallo stato italiano

Avevamo già parlato di Faith e del silenzio che gli organi di stampa nazionali hanno contribuito a far calare intorno al suo caso, probabilmente perché la vicenda è troppo imbarazzante per una nazione che si vuole "democratica" e garante dei "diritti delle donne". Più facile lanciare appelli per Sakineh e parlare della "barbarie" degli altri piuttosto che della nostra. Ora, un nuovo appello per Faith, che riceviamo da Amazora, ci offre l'occasione per parlarne ancora una volta e raccontare i "fatti" per quante/i li ignorano. Faith fugge dal suo paese, la Nigeria, nel 2007. Durante un tentativo di stupro da parte del suo datore di lavoro - appartenente a una delle più ricche e influenti famiglie dello stato -, Faith (che all'epoca non aveva ancora vent'anni), lo uccide. Quando, su cauzione, viene rilasciata dal carcere, decide di fuggire in Italia senza attendere il processo: l'ordinamento del suo paese non prevede l'attenuante della legittima difesa e rischia dunque (anche per le pressioni della famiglia del suo datore di lavoro/stupratore) di essere sicuramente condannata a morte. In Italia Faith spera di rifarsi una vita e invece, dopo tre anni, non riesce ad ottenere neanche il permesso di soggiorno. Così questa estate, quando le sue urla durante un nuovo tentativo di stupro fanno giungere una volante nella casa di Bologna dove abita, quello che attende Faith è dapprima il Cie di via Mattei e poi, il 20 luglio, nonostante la richiesta d'asilo presentata dal suo avvocato, il rimpatrio forzato in Nigeria dove attualmente è detenuta in attesa della condanna a morte per impiccagione. Solerti funzionari/burocrati fanno notare che il rimpatrio di Faith era inevitabile poiché su di lei gravavano già due decreti di espulsione. Ma il punto (sottolineato tra le/gli altre/i da Shukri Said, in uno dei primi appelli per Faith scritto qualche giorno dopo il suo rimpatrio), è che Faith non doveva/poteva essere espulsa. L'art. 19, comma 2°, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000) dice infatti: “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.”. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea vincola in maniera irrevocabile tutti gli stati della comunità al suo rispetto. Come se non bastasse, nel caso dell'Italia, questo vincolo è rafforzato dall'art. 2 della Costituzione, che impone la Repubblica all'osservanza dei diritti inviolabili dell'uomo e dall'art. 10 che impegna l'ordinamento a conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Nel caso di Faith dunque, come scrive ancora Said, "L'Italia è riuscita a violare la sua Costituzione e una Carta europea". Inoltre, come veniva sottolineato in un altro appello, il provvedimento di espulsione che ha riportato in Nigeria Faith "equivale ad una sentenza esecutiva di messa a morte". O, per dirla in altri termini, dimostra ancora una volta che il pacchetto sicurezza uccide. Come se non bastasse la vicenda di Faith apre "un pericoloso precedente", potendo divenire un deterrente a ribellarsi a violenze subite per tutte quelle donne migranti in condizione di "clandestinità" . Non male per uno stato "democratico" e difensore dei "diritti delle donne"! E' fondamentale ora, tentare di rompere il silenzio dei media nazionali/mainstream (che finora - tranne rare eccezioni - hanno taciuto a differenza di organi di informazione di altri paesi come lo spagnolo El Paìs) e non allentare la pressione sulle autorità, affinché Faith possa rientrare in Italia e ottenere l'asilo che gli spetta o comunque tutta l'assistenza e la protezione di cui avrà bisogno, poiché dopo essere sfuggita alla pena capitale dovrà sfuggire anche a probabili forme di persecuzione .

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