domenica 20 febbraio 2011

Muammar Gheddafi, Silvio Berlusconi e l'italietta postcoloniale

Dall'Algeria alla Tunisia, dall'Egitto allo Yemen le rivolte sull'altra sponda del mediterraneo (scusateci la definizione a questo punto forse impropria), sembrano inarrestabili. Ma la repressione è feroce. In Libia Muammar Gheddafi ha ordinato di sparare sulla folla dei manifestanti e nonostante le notizie incerte e le difficoltà di collegamento (banditi i/le giornalisti/e, problemi con linee telefoniche e internet), sembra che oramai i morti siano oltre un centinaio. Berlusconi ha dichiarato di non aver ancora telefonato a Gheddafi perché "la situazione è in evoluzione" e non vuole "disturbarlo". Per il resto ancora nessuna dichiarazione e presa di distanza ufficiale da questa carneficina da parte del nostro governo. E come potrebbe essere altrimenti? Gli interessi in ballo sono enormi, chiari a chi ha seguito la vicenda del cosiddetto "trattato di amicizia" Italia/Libia (firmato nell'agosto del 2008 da Berlusconi e Gheddafi e ratificato un anno fa) e il consolidarsi dei rapporti e investimenti economici reciproci tra i due paesi. Solo recentemente (mentre sulla stampa imperversava il "caso Ruby") Gheddafi ha acquistato tra le altre cose il 2,01% di Finmeccanica, una quota dell'Eni, altre della Unicredit (diventandone con il 7% il primo azionista) e varie compartecipazioni (Lia, Ansaldo Sts, Agusta Westland, Banca di Roma e Juventus.) D'altro canto Berlusconi (e altre grosse aziende italiane) sono in trattativa per investimenti nei settori delle telecomunicazioni, del gas e del petrolio. Ma oltre il business c'è anche altro: dietro il "trattato d'amicizia", le scuse e il risarcimento per l'occupazione coloniale italiana della Libia c'è, come sappiamo, il patto sciagurato per il "contenimento dell'immigrazione clandestina" verso le nostre coste. Tra respingimenti, torture e stupri nelle carceri libiche non sappiamo quantificare quanto è costata a donne e uomini migranti l'amicizia tra i due leader, amicizia che la stampa mainstream ha sempre tentato di ridurre agli aspetti meramente "folkloristici" (cammelli, tende, donne e bunga-bunga). Difficilmente l'Italia rinuncerà all'"aiuto" del Colonnello (che, crediamo anche per questo, reggerà), aiuto necessario per "controllare" le frontiere esterne (per quelle interne basta il "pacchetto sicurezza" e i Centri di identificazione ed espulsione). Quindi non ci aspettiamo di certo un risolutivo intervento diplomatico del nostro governo (se non qualche frase di circostanza) a condanna dei morti disseminati per le strade di Bengasi, Derna e Shahat (un tempo Cirene), nomi che - per chi non ignora le tragiche vicende del colonialismo italiano in Libia - evocano altre morti, altre stragi. Anche per questo sarebbe auspicabile che al silenzio interessato del governo si contrapponesse qualche forma di sostegno forte e solidarietà concreta da parte delle piazze italiane alla rivolta, pur anomala, in Libia. Ma anche su questo versante ci sembra che a quest'Italia - capace di mobilitazioni oceaniche in nome della dignità offesa , della patria e della famiglia -, poco importi delle sorti di uomini e donne massacrate/i per le strade della Cirenaica. Del resto non ci si indigna neanche per cose che accadono molto più vicino (si dice: "in casa nostra"), come un uomo che si da fuoco per protesta o una donna che subisce un tentativo di stupro in un Cie. Soprattutto se lui si chiama Noureddine Adnane e lei è nigeriana.

1 commento:

  1. Roma, 21 febbraio 2011

    Fermiamo il massacro, fuori Gheddafi

    Siamo cittadini libici che vivono in Italia.
    Riceviamo le scarse notizie dai nostri familiari da Bengasi, da Tripoli e da
    tutta la Libia.
    L¹autorità locale, per massacrare la popolazione che rivendica diritti, ha
    oscurato tutti i canali di informazione da internet, alle televisioni, ai
    telefoni stessi.
    Soldati mercenari stanno insediando tutte la grandi città, per evitare che i
    fratelli tunisini, egiziani o altri, entrino in nostro aiuto.
    60.000 mercenari, circondano Tripoli per proteggere il dittatore Gheddafi.
    L¹esercito spara sulla gente che manifesta pacificamente.
    Gli ospedali hanno esaurito tutte le medicine e primi soccorsi, il sangue
    soprattutto.

    LUNEDì 21 FEBBRAIO ORE 12:00 SIT-IN sotto l¹ambasciata della Libia (via
    Nomentana, 365), manifestiamo in solidarietà di tutti i libici che stanno
    lottando per la loro e nostra ibertà contro Gheddafi, la sua dittatura e i
    governi che li sostengono, l¹Italia prima di tutto.
    L¹Europa e il mondo stanno guardando in silenzio l¹ennesimo massacro,
    preoccupati di vedere lesi i loro interessi economici e indifferenti ai
    centinaia di morti.
    FERMIAMO IL MASSACRO FUORI GHEDDAFI
    macellaio del popolo libico, mercante del traffico umano dall¹Africa
    all¹Europa, legittimato dagli accordi che l¹Italia e l¹Europa hanno
    sottoscritto.
    Lavoratori immigrati libici a Roma
    per info: 3273330004 - 3737491829

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