Leggo su Animabella, il blog di Cinzia Sciuto, un articolo (L'orango di Calderoli e lo spazio della politica) che a partire dalle frasi razziste/sessiste contro Cécile Kyenge di leghisti come Calderoli e Valandro, contesta in maniera efficace chi vorrebbe derubricare simili episodi "a battute da Bar Sport", insistendo sul fatto che anche "le parole contano, e non solo perché ledono l'immagine della ministra o istigano addirittura a commettere un reato. Ma perché [...] plasmano (letteralmente) lo spazio della politica [...]. La lotta politica è anche lotta per mettere al bando certe parole e per dare piena cittadinanza ad altre. Perché le parole si portano appresso significati, storie, valori, ideali e, infine, diritti. Chi insiste, per esempio, perché non si usi la parola 'clandestino' lo fa perché sa che eliminare quella parola dalla scena significherebbe avere di fronte un uomo (o una donna) alla ricerca di una vita migliore, e chiudere un uomo (o una donna) innocente dentro una vera e propria prigione, come i Centri di identificazione ed espulsione, sarebbe molto più difficile che chiuderci un 'clandestino'. E non per niente “clandestino” è una parola molto amata invece da chi vorrebbe 'filtrare' le masse umane che premono ai nostri confini. E così di questo passo, tutte le grandi battaglie per l'ampliamento dei diritti, sono anche (e forse prima di tutto) battaglie per dare legittimità ad alcune parole e rendere tabù altre". Condivido l'importanza di riflettere sul linguaggio, ribadita anche nell'introduzione al volume Femministe a parole: "il linguaggio non è affatto neutro, ma riflette e veicola rapporti di dominazione che le parole a loro volta, possono contribuire a riprodurre e consolidare. Proprio perché le parole sono imbevute di ideologie sessiste, razziste e classiste, i 'soggetti assoggettati' hanno costantemente sentito il bisogno di condurre delle battaglie contro e dentro il linguaggio, rimuovendo alcune parole e inventandone di nuove" (S. Marchetti, Jamila M.H. Mascat, V. Perilli, Ediesse, 2012). Peccato allora che proprio in questo articolo Sciuto finisca poi per definire Giovanni Sartori - che per le sue posizioni in materia di immigrazione ha trovato consensi anche in siti neonazisti come quello di Storm Front -, "illustre politologo" (le virgolette sono mie) ... Anche perché, come un nostro lettore in un commento a Le lacrime della leghista, anch'io giudico le esternazioni di Sartori - che ha anche invitato a regalare un dizionario a Cécile Kyenge - molto più insidiose del rozzo razzismo/sessismo di un Calderoli o una Valandro. Molto più insidiose proprio perché "il prof. Sartori", come scrive Riccardo nel suo commento, è considerato anche da certa sinistra "democratico e progressista" ...
Purtroppo non è la prima volta che esponenti leghisti usano un linguaggio razzista e violento.
RispondiEliminaLa mia preoccupazione più grande, che molte persone sono influenzate dagli stessi pensieri e dal poco rispetto verso gli altri.
Saluti a presto.
Sì, purtroppo. Il linguaggio di personaggi come Calderoli e Valandro riflettono il razzismo già esistente in tutta la società (e che non è solo un fatto di "linguaggio") e insieme contribuiscono ad amplificarlo e riprodurlo
RispondiEliminaUn saltuto anche a te, buona serata