domenica 30 settembre 2012

Che genere di concorso?

Ricevo da Sonia Sabelli la lettera aperta che il Laboratorio di studi femministi Sguardi sulle Differenze dell’Università di Roma «La Sapienza», ha inviato al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della RicercaProf. Francesco Profumo e per conoscenza alla Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità Prof.a Elsa Fornero. Vi lascio alla lettura della lettera, senza nessun commento, poiché il testo mi sembra dica, e bene, tutto quello che è necessario.

Per l'Istituto italiano di studi filosofici

La Biblioteca dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, messa insieme da Gerardo Marotta in mezzo secolo di pazienti ricerche presso fondi librari e antiquari in tutta Europa, costituisce il nucleo fondamentale dell'Istituto fondato nel 1975 a Roma, nella sede dell’Accademia dei Lincei, da Enrico Cerulli, Elena Croce, Pietro Piovani, Giovanni Pugliese Carratelli e Gerardo Marotta, che ne è anche il presidente. La Sovrintendenza ai beni librari della Regione Campania ha riconosciuto nel 2008 il valore di questa raccolta, che oggi conta circa trecentomila opere, dichiarando che essa «presenta i segni di uno sforzo ragionato di gestione e sviluppo, frutto, non di casuale sedimentazione, ma delle attività di studio, ricerca e formazione promosse dall'Istituto di appartenenza». La delibera, attestando «il grande valore bibliografico e culturale» della biblioteca, decreta «la necessità di salvaguardarne l'inscindibile legame con l'Istituto di emanazione» e «l'opportunità e l'utilità sociale di predisporne le migliori condizioni di fruizione pubblica». Fu in questo spirito che la Regione, già nel 2001 con delibera n. 6039, individuò come sede della biblioteca i locali dell'ex-CONI in Piazza Santa Maria degli Angeli n. 1, a pochi passi da Palazzo Serra di Cassano, sede dell'Istituto, al fine di garantire la necessaria vicinanza tra la biblioteca e il luogo in cui quotidianamente si svolge un'intensa attività di seminari, così da assicurare la fruibilità del patrimonio librario al vasto pubblico di studiosi e ricercatori. Venne dunque formulato un progetto che, tenendo conto dei locali disponibili e dello spazio occupato dai volumi, consentisse, attraverso un sistema di scaffalature compatte, una sistemazione adeguata, congrua e razionale della raccolta. Tuttavia, inspiegabilmente, l’attuale Giunta regionale emana nel 2011 un nuovo atto che opera una radicale inversione di rotta rispetto al complesso processo iniziato dieci anni prima: con la delibera n. 283 si inseriscono due elementi che minacciano di stravolgere letteralmente il progetto originario per cui erano stati stanziati anche specifici fondi europei. Viene difatti prospettata per i locali individuati l'utilizzazione «come fondo iniziale dei volumi che obbligatoriamente vengono trasmessi in copia alla Regione Campania da editori e aziende tipografiche allorquando pubblicati» e l'attivazione di una «Biblioteca pubblica “a scaffale aperto”». Ciò significherebbe non solo sfregiare l'armonica razionalità interna della raccolta dell’Istituto, che la rende specchio di una dimensione culturale internazionale, con l'inserimento di un fondo avente come unico criterio quello dell'appartenenza geografica regionale, ma significherebbe soprattutto impedire materialmente l'allocazione della biblioteca dell'Istituto, la cui dimensione è tale da occupare per intero lo spazio dei locali e solamente qualora sia rigorosamente seguito il progetto delle scaffalature compatte. È inaccettabile assistere a questo avvilimento dell'Istituto e alla sepoltura della sua biblioteca in un triste deposito, un ex capannone industriale di Casoria. Per scongiurarlo vi invitiamo a firmare questa petizione

sabato 29 settembre 2012

Zapruder / Riunione di redazione

Riunione di redazione di Zapruder (c/o Via Abè 15, Monteveglio - Bologna), sabato 29 (ore 12 - 21) e domenica 30 settembre (ore 11 - 14). La suddivisione dei tempi e l'ordine del giorno proposti sono i seguenti: Sabato 1) Discussione, integrazione e approvazione dell'Odg. 2) Approvazione calendario redazionale 3) Rapida verifica dello stato del n. 29 (impaginazione, traccia di editoriale, foto di copertina, etc) 4) Chiusura del numero 30: a) Scelta e valutazione articoli, loro titolazione e definizione del menabò, inclusi gli scambi-pubblicitari. b) Titolazione del numero e impostazione dell'editoriale. c) Individuazione coordinate grafiche generali per il numero (scelta colore, scelta dell'immagine di copertina, altre immagini). 5) Decisione in merito ad alcune proposte di articolo giunte alla redazione (se ci interessano o meno ed, eventualmente, relativa programmazione). 6) Organizzazione e suddivisione del lavoro per il n. 30 (definizione del Gruppo di lavoro per la chiusura del numero, definizione della tempistica - "Tabella di marcia" - e correzione delle bozze). 7) Definizione del menabò provvisorio del numero 32 (definizione del call for paper, parte monografica e rubriche) in vista della scadenza della consegna degli articoli (15 marzo 2013). Domenica: 8) Verifica dell'impianto complessivo del n. 31 (parte monografica e rubriche), stato d'avanzamento dei lavori e organizzazione della correzione bozze e della tempistica. Individuazione del curatore redazionale e dei curatori dei singoli articoli. 9) Suddivisioni mansioni redazionali 10) Ripresa di discussione sulle modalità del lavoro redazionale a partire dalla curatela di articoli e numeri 11) Creazione di un archivio accessibile a tutti con i documenti della redazione 12) Definizione ruoli e mansioni nella gestione sito 13) Presentazioni del n. 28 e 29. 14) Varie ed eventuali. Per le indicazioni logistiche per arrivare alla località dove si terrà la riunione di redazione, telefonare ai seguenti numeri: Vincenza 349 4456552 Fabrizio 3494245545 Ivan 3880410753. La riunione di redazione è aperta a tutti i soci di *Storie in movimento*. Il diritto di voto è ovviamente riservato ai soli membri della redazione

giovedì 27 settembre 2012

L'etnicizzazione del sociale / Reminder

Velocissimo reminder per quante/i sono sul suolo bolognese: domani, venerdì 28 settembre, alla libreria ModoInfoShop (via Mascarella, 24/b - Bologna), presentazione del volume di Zapruder,  L'etnicizzazione del sociale. Vi aspettiamo!

martedì 25 settembre 2012

Cherríe Moraga / bell hooks

Stiamo festeggiando il compleanno di Cherríe Moraga e bell hooks - nate entrambe il 25 settembre 1952 -, con la lettura di brani sparsi da This Bridge called my Back a Ain’t I a Woman?: Black Women and Feminism ... Peccato che l'idea sia stata estemporanea, ma per l'anno prossimo si potrebbe pensare con un po' di anticipo di lanciare un party in rete

Atse Tewodros Project

Gabriella Ghermandi, già autrice di quel Regina di fiori e di perle - di cui tante volte abbiamo già parlato qui in Marginalia anche in relazione ad affascinanti figure di donne come Taitù Zeetiopia Berean e Kebedech Seyoum -, è alla prese con un nuovo progetto, l'Atse Tewodros Project, appunto. Non un nuovo libro, ma la creazione di un CD di musica Jazz Ethio-Italian composto ed eseguito in un incontro tra musicisti etiopi e italiani e che si propone di far conoscere e sostenere la musica etiope suonata con strumenti tradizionali anche in Occidente, dove è pressoché sconosciuta. Ma per realizzare questo progetto serve il sostegno di tutti/e, principalmente per finanziare il viaggio dei musicisti italiani in Etiopia dove insieme ai musicisti etiopi elaboreranno e registreranno i brani del CD. Come fare a sostenere il progetto è spiegato nel dettaglio nel sito di Produzioni dal Basso, dove è possibile anche guardare il trailer del progetto con la bellissima voce di Ghermandi come guida, trailer con il quale chiudiamo questo post. Buon ascolto / lettura:

domenica 23 settembre 2012

Genere & Classe : l'insurrezione che distruggerà uomini e donne

Un grazie a Cirano che in un commento a L'etnicizzazione del sociale, ci segnala l'uscita ad ottobre di Genres & Classe: l’insurrection généralisée qui détruira les hommes et les femmes, (Genere & Classe: l'insurrezione generalizzata che distruggerà uomini e donne), nuovo numero hors série di Incendo. Il tema è indubbiamente di quelli belli "tosti" ed è affrontato da una prospettiva che mi sembra un po' lontana dalla mia (che si muove in una dimensione un più "intersezionale"), ma questi elementi contribuiscono a far scattare la mia proverbiale curiosità,  così come la copertina e la riproposizione nell'indice di slogan femministi (francesi) degli anni 70 che personalmente continuo a trovare strepitosi (Prolétaires de tous les pays, qui lave vos chaussettes?). Insomma, il faut, assolutamente, farsene inviare copia. Nell'attesa condividiamo indice e contatti., magari interessa anche qualcun altra/o e poi dopo la lettura se ne può  ri-parlare.

venerdì 21 settembre 2012

Zapruder / L'etnicizzazione del sociale

L’“etnia”, la “razza”, come anche una certa nozione statica di “cultura”, sono alcuni dei concetti più ricorrenti attraverso i quali viene narrato lo spazio sociale contemporaneo. Gli attori dei drammi sociali, così raccontati, sembrano agire secondo un copione noto, dove le differenze irriducibili e le identità inconciliabili tengono i ruoli dei protagonisti. Si è affermato un ordine del discorso che trova la propria convalida in una griglia concettuale che legge la molteplicità del reale attraverso figure semplici, originarie, unitarie. Venerdì 28 settembre presso la Libreria Modo Infoshop (via Mascarella 24/b – Bologna), presentazione del numero di Zapruder L’etnicizzazione del sociale: politica, memoria, identità (2010) che tematizza queste recenti fortune del dispositivo dell’etnia, ricostruendone la genealogia e individuandone le logiche. Ne discuteranno con Silvia Cristofori e Andrea Brazzoduro, curatori del volume, Gaia Giuliani e alcuni/e redattori e redattrici della rivista

giovedì 20 settembre 2012

Audre Lorde: The Berlin Years 1984 to 1992

Siamo appena rientrate - io e Marginalia - dal Some Prefer Cake, ancora emozionate dalla visione del film-documentario dedicato ad Audre Lorde nel ventesimo anniversario della morte, Audre Lorde: The Berlin Years 1984 to 1992 di Dagmar Schultz. Il film si concentra sugli "anni berlinesi" di Lorde e - attraverso un efficace montaggio di materiali d'archivio inediti e interviste recenti a donne afro-tedesche e non - documenta l'influenza da lei esercitata sul contesto culturale e politico tedesco in quel decennio. Mentre scriviamo, riflettiamo (ancora) su quanto sia "assurdo" (ma c'è ovviamente una logica) che Audre Lorde sia ancora così poco conosciuta/tradotta (e "pensata") in Italia e il danno enorme che questo ha rappresentato (e rappresenta), soprattutto per certo femminismo nostrano. Grazie allora per questo "regalo" al Some Prefer Cake, dove speriamo - nonostante i nostri ritmi e incastri di tempo deliranti - di riuscire a fare un salto anche domani per gli altri film in programma (Time Bomb, en particulier ...) e per l'attesa inaugurazione della mostra di Zanele Muholi

Alla prova di globalizzazione, guerre, razzismo dilagante

Dal sito dell'incontro nazionale femminista Primum vivere che, come vi avevamo anticipato, si terrà dal 5 al 7 ottobre a Paestum, ri-proponiamo alla discussione un articolo di Isabella Peretti, Alla prova di globalizzazione, guerre, razzismo dilagante. Buona lettura e riflessioni: "Perché una differenza – quella tra donne e uomini – è più differente delle altre differenze (di provenienza geografica e sociale, di religione, di colore della pelle, di scelta sessuale,ecc.)? Quante volte ci siamo sentite fare questa domanda, fin dagli anni 70! E si ripropone tanto più oggi, nel tempo della globalizzazione. E potrà riproporsi a Paestum. Quindi credo sia giusto e fruttuoso affrontarla. Eccovi il mio contributo. Il femminismo della differenza, che va sempre ridefinito, si mette oggi alla prova di fronte alle questioni poste dalla cosiddetta intersezionalità (cfr. voce “Intersezionalità” di Vincenza Perilli e Liliana Ellena, in Femministe a parole. Grovigli da districare a cura di Sabrina Marchetti, Jamila Mascat,Vincenza Perilli), che a mio avviso, non andrebbe intesa come intersezione di oppressioni multiple o simultaneità dei sistemi di dominio, ma come tipica e costitutiva “dei processi di soggettivazione nelle società contemporanee” . Si tratta di analisi, teorizzazioni e posizioni politiche, ma anche di vissuti personali – pensiamo alle nuove generazioni di migranti, a come riflettono sulle proprie soggettività meticce – , di esperienze di movimenti ( dai primi movimenti del cd. Black Feminism alla partecipazione attuale delle donne alle lotte postcoloniali del Nord Africa) che colgono e manifestano tutta la pregnanza degli intrecci delle differenze, che nella globalizzazione si moltiplicano e si complicano. Intrecci che noi stesse, come curatrici della collana sessismoerazzismo (Ediesse) – Lea Melandri, Ambra Pirri, Stefania Vulterini ed io – abbiamo condiviso con le autrici, sia dei libri di racconti (“Voci di donne migranti” e “Incontrarsi”) sia della saggistica (da “Schengenland” alle “Cinque giornate lesbiche”, a “Libeccio d’Oltremare”, alle “Ragazze di Asmara” a Femministe a parole). Per quanto mi riguarda la condivisione delle esperienze delle donne migranti, le loro vite e la loro transnazionalità, l’incontro e il confronto con loro – che si sono tradotte nella pubblicazione di libri e nella partecipazione a varie iniziative politiche e culturali – mi appassionano umanamente e politicamente molto più di altre. Riprendendo il ragionamento, secondo uno dei testi fondamentali del femminismo della differenza – “La differenza politica”, di Maria Luisa Boccia (2002) – la pratica dell’autocoscienza e del partire da sé inducono la crisi del Soggetto unitario, di una storia unitaria della coscienza (p.76), alla quale le donne non sono state estranee, ma che hanno subito come colonizzazione. Molte donne hanno sentito il bisogno di tornare al proprio essere (sessuato), dal momento che la rappresentazione fornitane dalla cultura occidentale risultava non corrispondente (p.80); ma questi percorsi non approdano a una valorizzazione dell’identità femminile, dei caratteri specifici essenzialistici del sesso, bensì a quell’ “autenticità che altro non è che il vuoto scaturito dalla rinuncia attiva all’identità suggellata e modellata della Femminilità”. Questo vuoto “ è appena sopportabile, è il rischio di perdere la ragione”; “tale rischio” afferma Carla Lonzi, ampiamente citata da Maria Luisa,“ è il mio senso della femminilità” ed è questa l’unica autenticità, la sola libertà da ricercare (p.66). E’ questo un percorso fondamentale, che compiono anche quelle singolarità e quelle soggettività che riflettono non solo sul proprio essere sessuato, ma anche sulla propria storia e provenienza, senza identificarsi (Amartya Sen, “Identità e violenza”, 2006) ma senza prescinderne, traendone spunti e motivazioni per pratiche di vita, di pensiero e di impegno politico differenti (cfr. tra i tanti esempi possibili, le Nere e i Neri di Francia,voce “Noir. La pelle che conta”, di Stefania Vulterini in “Femministe a parole”). Ma il rivolgersi al proprio essere sessuato oltre ad essere una condizione di libertà – l’appartenenza di sesso non più come un destino o una naturalità ma come condizione di possibilità (Boccia, p.102) – è anche una possibilità di produrre trascendenza, “ ponendo la differenza tra i sessi come costitutiva del rapporto tra l’io e il mondo, tra singolarità e pluralità, sia per le donne che per gli uomini”. E’ questa possibilità di trascendenza che rende la differenza tra donne e uomini prioritaria rispetto a quei percorsi che riflettono sull’intersezionalità e che si pongono su altri piani – storici, antropologici, politici? Sta qui la risposta alla domanda iniziale? Si aprono in tal modo contrapposizioni, o non piuttosto nuovi interrogativi, confronti e contaminazioni proficue? Secondo me, si possono individuare molti motivi di condivisione tra elaborazioni diverse – quelle per esempio di Maria Luisa Boccia e Manuela Fraire, o il “chi” di Adriana Cavarero (“Tu che mi guardi, tu che mi racconti”, 1997) o ancora il soggetto nomade di Rosi Braidotti – , ma convergenti rispetto all’unicità incarnata, alla singolarità, che rappresenta un punto di partenza e un punto di arrivo, da cui ne deriva necessariamente il rifiuto di quell’universalismo al femminile, che in realtà è stato quello delle donne bianche, eterosessuali e della classe media; comune è la centralità del corpo ; comune la dialettica tra autenticità, libertà e determinazioni esterne – quelle norme linguistiche e sociali del potere che Butler riprende da Foucault (cfr. Olivia Guaraldo, “Figure in relazione”, in “Differenza e relazione. L’ontologia dell’umano nel pensiero di Judith Butler e di Adriana Cavarero”, 2009). Sostiene la lettera di convocazione dell’incontro di Paestum: “Il femminismo che conosciamo ha sempre lavorato perché ciascuna, nello scambio con le altre, si potesse fare un’idea di sé: una autorappresentazione che è la condizione minima per la libertà. Invece la democrazia corrente ha finora sovrapposto la rappresentanza a gruppi sociali visti come un tutto omogeneo. La strada che abbiamo aperta nella ricerca di libertà femminile, con le sue pratiche, può diventare generale: nelle scuole, nelle periferie, nel lavoro, nei luoghi dove si decide, ecc. Che la gente si ritrovi e parli di sé nello scambio con altre/i fino a trovare la propria singolarità, è la condizione necessaria per ripensare oggi la democrazia”. Sono affermazioni condivisibili, anche se i percorsi teorici e politici possono essere diversi; come ha evidenziato Olivia Guaraldo (cit.) diversi sono gli approcci rispetto alla dimensione collettiva di Butler (il noi dell’azione politica)e di Cavarero (la relazione duale io/tu), anche se convergono sull’esposizione alla vulnerabilità propria e dell’altra/o.La lettera per Paestum richiama quelle dimensioni del mondo comune e della pluralità, create dalle relazioni tra donne, che, come sostiene Maria Luisa Boccia (cit., p.103) sono coordinate imprescindibili per l’agire libero della singola. Converge su questa problematica anche chi si interroga sul nesso sessismo-razzismo, come cerchiamo di fare nella nostra collana: “L’attribuzione di identità stereotipate ha imprigionato donne e “culture altre” nel ruolo loro assegnato, a baluardo delle identità nazionali e al centro dello scontro tra Occidente e Oriente, escludendo soggettività individuali, relazioni, conflitti, mutamenti. Ma queste soggettività sono vive, si esprimono intorno a noi e lontano da noi; con loro faremo questa collana” (Dalla presentazione della collana). Il documento di Paestum così conclude: “Soprattutto le relazioni tra donne e uomini sono cambiate. Ma non abbastanza. Sulla scena pubblica questo cambiamento non appare perché il rapporto uomo-donna non viene assunto come questione politica di primo piano. Eppure, solo in questo modo, possono sorgere pratiche politiche radicalmente diverse, produzioni simboliche e proposte per una nuova organizzazione del vivere”. Su quest’ultimo punto ci sarà molto da discutere: che possa essere la chiave del cambiamento per individuare insieme tutte le azioni necessarie di fronte alla globalizzazione, alle guerre e al razzismo dilagante, alle contraddizioni postcoloniali, ecc .è un passaggio della lettera che a Paestum sarà, secondo me, tutto da verificare".

mercoledì 19 settembre 2012

Lo schermo del potere. Femminismo e regime della visibilità

Tra qualche ora sarà finalmente possibile precipitarsi in libreria per accaparrarsi una copia ancora fresca di stampa di Lo schermo del potere. Femminismo e regime della visibilità, l'ultima fatica di Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi, appena data alle stampe da Ombre Corte. L'immagine di copertina - un' opera del 1980 dell'artista Birgit Jürgenssen, Gladiatorin -, illustra efficacemente la chiave di lettura proposta dal volume sull'intreccio tra genere e cultura visiva: la necessità di cogliere "la complessità dei rapporti di potere che si esprimono attraverso le immagini senza cedere alla nostalgia di un femminile autentico" e guardando i corpi nella loro materialità che è anche "uno spazio attivo di resistenza, di lotta, di azione e di sfida". Poiché mancano alcune ore all'apertura dei negozi, nell'attesa vi proponiamo la lettura della premessa del volume, ringraziando autrici ed editore per la condivisione: "Questo testo è nato dalla necessità comune, teorica e politica insieme, di elaborare una riflessione femminista sull’intreccio tra genere e visualità a partire dal contesto italiano. Il tema dell’immagine femminile si è imposto in termini di emergenza in concomitanza con gli scandali sessuali che hanno accompagnato il declino berlusconiano, fortemente caratterizzato dalla rinnovata visibilità di immaginari e comportamenti sessisti. Il nostro contributo si riaggancia alla radicalità femminista come chiave di lettura del presente, nella possibilità di riconnettere elementi nodali della contemporaneità a partire dal genere. Invece di soffermarci sulla riduzione del genere femminile ad immagine erotizzata e asservita e sul suo rapporto più o meno diretto con la condizione delle donne in Italia, siamo partite da una critica della rappresentazione come ambito sessuato e dalle risposte date dai movimenti legati al femminismo. Si tratta infatti di tematizzare una serie di questioni sollevate dagli scandali, ma che sono state costantemente rimandate a tempi più opportuni, fuori dalla contingenza e da un’emergenza che sembrava richiedere una risposta senza scarti, immediata, compatta, condivisa. Da questo punto di vista la caduta di Berlusconi ha avuto un effetto ulteriore di chiusura nei confronti di posizioni critiche, in un contesto in cui l’unità viene presentata come condizione indispensabile per uscire dalla crisi politica ed economica che sta attraversando l’Italia. La questione della visualità si è affermata esclusivamente nei termini di un problema, poi rapidamente accantonato per dare spazio ad altre tematiche ritenute di maggiore rilevanza politica, con l’effetto di dare per scontato, lasciandolo indiscusso, un campo di analisi decisivo. A fronte dell’emergenza rappresentata dalla crisi economica, i temi relativi al genere sono infatti stati messi da parte come secondari, se non addirittura superflui, mentre il ribaltamento “d’immagine” ai vertici dello stato è stato funzionale al depotenziamento delle istanze più critiche interne al femminismo. Se da una parte è evidente come la produzione del genere funzioni all’interno di una serie di dispositivi di dominio che coinvolgono fortemente il campo visivo, dall’altra il problema identificato con l’immagine femminile è stato percepito nei termini di uno schermo, come qualcosa che blocca la visione, impedendo alla realtà – delle “donne” come categoria, della condizione femminile – di emergere in modo intelligibile. La “dignità delle donne” offesa dai modelli femminili veicolati dai media è stato l’oggetto attorno al quale si è cristallizzata l’attenzione dell’opinione pubblica. È proprio attraverso l’analisi della formazione di questo luogo produttivo di istanze sul genere che è possibile sciogliere ed evidenziare l’intreccio che lo costituisce. Un intreccio estremamente complesso e storicamente determinato, affatto scontato, attraverso il quale è possibile analizzare le modalità dello sguardo che costruisce l’alterità, dove la categoria di genere non può darsi da sola, ma va sempre articolata insieme a quelle di razza, sessualità, classe. La dimensione visiva costringe a confrontarsi con le tematiche dell’origine e dell’autenticità, dell’autorappresentazione, della soggettività, dell’agency.L’immagine del femminile appare dunque come un prisma che rifrange i rapporti tra le generazioni, il razzismo e l’omofobia dilaganti, lo scambio sessuo-economico, le nuove forme del lavoro. Si tratta di nodi attraversati dalla produzione del genere nell’Italia contemporanea, dove il genere emerge come una dimensione strutturalmente più complessa rispetto alla focalizzazione sulla donna e sulla sua immagine degradata. Il visuale è un ambito cruciale per la riflessione femminista a partire da una problematizzazione di questioni che coinvolgono una molteplicità di soggetti che non si identificano necessariamente con la categoria “donna”. L’immagine e le forme di assoggettamento nelle quali quest’ultima è coinvolta sono infatti inscindibili dalle molteplici articolazioni attraverso le quali vengono prodotte le differenze. L’immagine femminile come schermo del potere ha una duplice valenza: da una parte è ciò che nasconde le dinamiche di potere attraverso processi di naturalizzazione e legittimazione, dall’altra rappresenta anche un campo politico di negoziazione e di conflitto, prodotto e sito di produzione insieme. Un femminismo dell’emergenza, che risponde all’insofferenza collettiva nei confronti di rappresentazioni sessiste può solo rigenerarsi attraverso una teoria critica. L’inchiesta teorica e intellettuale non può non intrecciarsi con quella politica: la critica ha un ruolo fondamentale da svolgere in una situazione come quella dell’Italia contemporanea, dove l’esigenza di unità e le larghe convergenze vengono presentate come una necessità per fronteggiare l’emergenza, e dove di conseguenza ogni posizione critica tende ad essere bollata come superflua, se non addirittura dannosa. È necessario infatti superare risposte sostanzialmente difensive che vedono nell’espressione di un ripensamento delle categorie e nella rivendicazione di soggetti “dissonanti”, un mero ostacolo ad una politica condivisa. Teoria e politica non possono essere separate né contrapposte, come se la teoria fosse un elemento che può essere legittimato solo in contesti non “emergenziali”, etichettandolo come prematuro, untimely, fuori luogo: la teoria critica permette di contestare il senso stesso di un tempo legittimo che la esclude sistematicamente (Brown 2005, p. 4). Nel far emergere in modo sempre più evidente un’impossibilità di distinguere tra politico e privato, gli eventi politici italiani e globali danno ragione alle ragioni del femminismo. Se “il tempo è adesso”, non abbiamo bisogno di redenzione per fare posto ad un’immagine di donna integra e dignitosa, quanto piuttosto di reinvenzione. La critica dei processi di naturalizzazione dell’alterità, di cristalizzazione delle identità, di cooptazione di ogni diversità, di criminalizzazione e marginalizzazione del conflitto, di razzializzazione della società, è centrale per una politica femminista. Le tematiche relative alla femminilizzazione del lavoro, nel senso dell’estensione delle caratteristiche storicamente attribuite al lavoro femminile, di cura e riproduttivo a tutta la sfera lavorativa, l’intreccio tra identità, politica e rivendicazioni di posizioni situate, la violenza strutturale di un sistema produttivo, sono diventate snodi centrali a partire dai quali ripensare possibili politiche del comune. Contro la tentazione di mettere da parte posizioni critiche in nome di rivendicazioni focalizzate su un soggetto unitario, una riflessione femminista che faccia proprio il nodo che lega visualità, genere e produzione della differenza permette di cogliere alcuni aspetti cruciali del presente aprendo anche delle possibilità trasformative. Se infatti il campo del visivo è attraversato dai rapporti di dominio, nella sua componente più instabile e mutevole l’immagine può rappresentare anche un’apertura, una possibilità, le cui potenzialità sono nelle nostre mani".

lunedì 17 settembre 2012

Roms : la commune humanité bafouée

Penso che le petizioni - in quanto ad efficacia - lasciano, spesso, il tempo che trovano. Nonostante ho firmato Roms: la commune humanité bafouée (Roms: la comune umanità schernita), condividendo Jean-Loup Amselle, Etienne Balibar, Anne Emmanuelle Berger ...)con promotori e promotrici (tra i/le primi/e firmatari/e , la preoccupazione e l' indignazione verso la politica di espulsione dei "Roms étrangers" in Francia, politica che il nuovo governo di sinistra sta portando avanti spesso con le stesse parole, immagini, presupposti e soprattutto conseguenze, dei suoi predecessori. Per leggere il testo completo, la lista dei firmatari e firmare la petizione:Roms : La commune humanité bafouée

Il razzismo

Segnaliamo l'uscita, per Ediesse, del volume Il razzismo, di Alberto Burgio e Gianluca Gabrielli che sarà presentato questa sera - con Patrizia Dogliani, Sandro Mezzadra e Giorgio Tassinari - presso la biblioteca Walter Bigiavi (via Belle arti, 33 - Bologna). Bookshop a cura della Libreria delle Moline

sabato 15 settembre 2012

bell hooks / Appalachian Elegy: Poetry and Place

L'ultimo libro di bell hooks, Appalachian Elegy: Poetry and Place. L'autrice non ha oramai bisogno di presentazioni (credo), per quanto invece riguarda il volume (che non ho letto), mi dicono sia bellissimo. Sul sito di Project Muse, un estratto poem #3.

Dorothea Tanning sulla scacchiera

Dorothea Tanning (Galesburg, 25 agosto 1910 – New York, 31 gennaio 2012), pittrice, poetessa, scrittrice ... colpisce che ai più continui ad essere nota come "moglie di Max Ernst".

giovedì 13 settembre 2012

On the way to Paestum

Ricevo e pubblico l'invito di Kespazio! Per una ricerca queer e postcoloniale, a gruppi e singole a partecipare ad una serie di incontri preparatori a Roma in vista dell'incontro nazionale femminista che si terrà a Paestum il 5, 6 e 7 ottobre, Primum vivere anche nella crisi: "Un grande meeting femminista è alle porte, con donne che da ogni parte d’Italia si ritroveranno a Paestum, come fu l’ultima volta nel 1976, per parlare di corpi, lavoro, cura, politica al tempo della crisi. In vista di questo appuntamento nazionale Kespazio! Per una ricerca queer e postcoloniale insegue la sua vocazione di luogo a metà fra l’arena e il salotto, per lo scambio e la discussione, e invita tutti i gruppi e le singole di Roma a 2 mini-assemblee cittadine su Lavoro (19 settembre) e Corpo (26 settembre) presso il Caffè letterario / Casa internazionale delle donne di Roma, ore 18. Oltre a noi di kespazio! e alle organizzatrici di Paestum2012, saranno presenti alle assemblee i gruppi e singole in corso di adesione sulla pagina FB dell'evento ".

Che genere di Islam

Che genere di Islam. Omosessuali, queer e transessuali tra shari’a e nuove interpretazioni, a cura di Jolanda Guardi e Anna Vanzan, è l'ultimo volume pubblicato da Ediesse nella collana sessismoerazzismo, volume che - come si legge nella presentazione dell'editore -, "offre una panoramica ampia ed esaustiva, spesso dissacrante e provocatoria, del rapporto omosessualità-islam".

martedì 11 settembre 2012

Rosy Bindi e le sostanze stupefacenti

Sembra che stamattina Rosy Bindi, durante il programma Omnibus su La7, abbia dichiarato che "nel Pd c'è troppo rosso". L'ipotesi che dietro quell'aria da suorina si nascondesse in realtà una bad girl trova quindi conferma, resta da appurare di quale portentosa sostanza stupefacente la nostra faccia uso.

Un altro undici settembre

Santiago del Cile, 11 settembre 1973.

Judith Butler, ebraismo e violenza di stato

A fine agosto, a Francoforte, Judith Butler è stata insignita del prestigioso Premio Adorno, assegnazione preceduta e accompagnata da una violenta polemica da parte di alcune organizzazioni israeliane con articoli del tenore di "Il premio Adorno ad una fan di Hamas". Val la pena leggere la risposta di Judith Butler a questi attacchi, inviata originariamente a Mondoweiss, e poi ripresa e tradotta in italiano da varie testate (1, 2 e 3 ...). Eccola: "Il Jerusalem Post ha recentemente pubblicato un articolo in cui informa che alcune organizzazioni erano contrarie a che io ricevessi il Premio Adorno. Questo premio viene assegnato ogni tre anni a chi lavora nella tradizione intellettuale della teoria critica, intesa in senso ampio. Le accuse contro di me sono di appoggiare Hamas e Hezbollah (non vero), di appoggiare il BDS (parzialmente vero) e di essere un’anti-semita(platealmente falso). Forse non dovrei essere così sorpresa che chi si oppone al mio ricevimento del Premio Adorno ricorra ad accuse così ignobili e infondate per farsi notare. Sono una studiosa arrivata alla filosofia attraverso il pensiero ebraico e mi considero una persona che difende e prosegue una tradizione etica che include figure come Martin Buber e Hannah Arendt. Ho ricevuto un’educazione ebraica a Cleveland, sotto la guida del Rabbino Daniel Silver, in una sinagoga dell’Ohio dove ho sviluppato solide visioni etiche sulla base del pensiero filosofico ebraico. Nel mio percorso di formazione mi sono convinta che gli altri ci chiedono di – e noi stessi ci interroghiamo su come– rispondere alle loro sofferenze e cercare di alleviarle. Tuttavia, per fare questo, dobbiamo essere capaci di ascoltare e trovare i mezzi con cui rispondere, e talvolta pagare le conseguenze dei modi in cui decidiamo di opporci alle ingiustizie. In ogni singola tappa della mia educazione ebraica mi è stato insegnato che rimanere in silenzio di fronte all’ingiustizia non è accettabile. La difficoltà di un precetto di questo genere sta nel fatto che esso non ci dice chiaramente quando e come pronunciarci, o come opporci senza produrre una nuova ingiustizia, o come parlare in modo da essere ascoltati ed essere capiti in maniera corretta. La mia posizione non è ascoltata da questi detrattori, e forse non dovrei sorprendermi, visto che la loro tattica consiste nel distruggere le condizioni dell'ascolto. Ho studiato filosofia all’Università di Yale e ho continuato a concentrarmi sulle questioni di etica ebraica lungo l’intero arco della mia educazione. Sono contenta di aver ricevuto quel bagaglio etico e l’educazione che mi è stata data, e che tuttora mi anima. È falso, assurdo e doloroso per chiunque sentir dire che chi formula una critica dello Stato di Israele è un antisemita, o, se ebreo, un ebreo che odia sé stesso. Accuse di questo genere cercano di demonizzare la persona che articola un punto di vista critico e di squalificare a priori questo punto di vista. Si tratta di una tattica di messa a tacere: di questa persona non si può parlare, e qualunque cosa essa dica va respinta in anticipo o distorta in modo tale da negare la validità stessa della presa di parola. L’accusa rifiuta di prendere in considerazione il punto di vista, di discuterne la validità, di valutarne le sue prove, e di trarne una conclusione oculata sulla base dell’ascolto della propria ragione. L’accusa non è semplicemente un attacco contro le persone che hanno punti di vista discutibili, ma si traduce in un attacco contro qualsiasi scambio ragionevole di opinioni, contro la stessa possibilità di ascoltare e parlare in un contesto in cui si potrebbe prendere in considerazione cosa l’altro ha da dire. Quando degli ebrei etichettano altri ebrei come “antisemiti”, essi cercano di monopolizzare il diritto di parlare in nome degli ebrei. Dunque l’accusa di antisemitismo serve da copertura per un conflitto tra ebrei. Sono allarmata per il numero di ebrei che, costernati per le politiche israeliane, tra cui l’occupazione, l’uso delle detenzioni indefinite e il bombardamento della popolazione civile a Gaza, cerca di rinnegare la propria ebraicità. Il loro errore consiste nel considerare lo Stato di Israele come rappresentante contemporaneo dell’ebraismo, e nel pensare che se una persona si definisce ebrea, questo significhi appoggiare Israele e le sue azioni. Nonostante questo, ci sono sempre state tradizioni ebraiche che si oppongono alla violenza statale, che affermano la coabitazione multiculturale e difendono i principi dell’uguaglianza. Queste tradizioni etiche di fondamentale importanza vengono dimenticate e marginalizzate ogni qualvolta si accetta che Israele sia la base dell’identificazione e dei valori ebraici. Quindi, da un lato gli ebrei che criticano Israele forse pensano di non potere più essere ebrei perché Israele rappresenta l’ebraismo; dall’altro lato, chi cerca di mettere a tacere i critici di Israele fa ugualmente coincidere l’ebraismo con Israele, traendo la conclusione che ogni critica è antisemita o, se la critica proviene da un ebreo, mossa da odio di sé. I miei sforzi, sia nella ricerca sia nei miei discorsi pubblici, sono sempre stati volti a uscire da questo vicolo cieco. Dal mio punto di vista ci sono tradizioni ebraiche molto significative – anche le prime tradizioni sioniste – che valorizzano la coabitazione e che forniscono modalità di opposizione contro la violenza di qualunque genere, inclusa la violenza di Stato. Oggi è molto importante valorizzare e tenere in vita queste tradizioni, poiché esse rappresentano i valori diasporici, le battaglie per la giustizia sociale e un principio ebraico talmente rilevante come la “riparazione del mondo” (Tikkun). È chiaro che quelle passioni che raggiungono livelli così elevati su questioni come queste rendono molto difficile l’ascolto e la presa di parola. Si decontestualizzano alcune parole  e si distorce il loro significato per poi utilizzarle per stigmatizzare ed squalificare un individuo. Questo succede con molte persone che hanno una visione critica di Israele – e che vengono etichettate come antisemite o collaboratrici naziste; queste forme di accusa mirano a creare le forme più durevoli e tossiche di stigmatizzazione e demonizzazione. Si colpisce la persona decontestualizzandone le parole, invertendone i significati e sostituendole alla persona; di fatto, queste forme di accusa annientano i punti di vista della persona a prescindere da quegli stessi punti di vista. Per coloro che tra noi sono i discendenti degli ebrei europei eliminati dal genocidio nazista (la famiglia di mia nonna è stata distrutta in un piccolo villaggio a sud di Budapest), essere chiamati complici dell’odio contro gli ebrei o ebrei che odiano sé stessi è uno degli insulti e delle ferite più dolorosi che possano esistere. Risulta ancora più difficile resistere al dolore di un’accusa di questo genere quando la persona colpita cerca di affermare ciò che di più prezioso esiste nel giudaismo per pensare all’etica contemporanea, inclusa la relazione etica con chi è privato della propria terra e dei diritti di auto-determinazione, con chi cerca di mantenere viva la memoria della propria oppressione, con chi prova a vivere un vita che possa e debba essere riconosciuta come vita degna di essere vissuta. Sostengo che questi valori derivano tutti da fonti ebraiche importanti, il che non significa dire che essi derivano esclusivamente da quelle fonti. Ma, data la storia da cui provengo, è di fondamentale importanza, in quanto ebrea, oppormi all’ingiustizia e combattere contro tutte le forme di razzismo. Questo non fa di me una ebrea che odia sé stessa, bensì mi rende una persona che vuole affermare un giudaismo non identificabile con la violenza statale e che si identifica con una battaglia globale per la giustizia sociale.I miei commenti su Hamas e Hezbollah sono stati decontestualizzati e i miei noti e assodati punti di vista brutalmente distorti. Sono sempre stata a favore dell’azione politica non violenta, e questo principio ha sempre caratterizzato le mie posizioni. Alcuni anni fa, un membro di un pubblico accademico mi ha chiesto se penso che Hamas e Hezbollah appartengano alla “sinistra globale” e ho risposto con due commenti. Il primo era meramente descrittivo: queste due organizzazioni politiche si definiscono anti-imperialiste, e una delle caratteristiche della sinistra globale è l’anti-imperialismo; quindi, in questa logica, esse potrebbero essere descritte come parte della sinistra globale. Il mio secondo commento era critico: come per qualsiasi gruppo che si colloca a sinistra, occorre decidere se uno è contro o a favore di quel gruppo e valutare criticamente le posizioni di quel gruppo. Non accetto o approvo tutti i gruppi che fanno parte della sinistra globale. Infatti questi stessi commenti hanno fatto seguito a una mia presentazione in cui ho sottolineato l’importanza del lutto collettivo e delle pratiche politiche della non violenza, un principio che ho sviluppato e difeso in tre dei miei libri più recenti: Precarious Life, Frames of War e Parting Ways. Sono stata intervista sulle mie posizioni non violente sulla rivista Guernica e su altre riviste online, ed è facile ritrovare queste mie posizioni se uno volesse capire da che parte mi colloco su tali questioni. Talvolta sono addirittura presa in giro da membri della sinistra che appoggiano le forme di resistenza violenta che pensano che io non sia in grado di capire quelle pratiche. E’ vero: non appoggio le pratiche di resistenza violenta e non appoggio, non ho mai appoggiato e non posso appoggiare nemmeno la violenza statale. Forse questa posizione mi rende più naïve che pericolosa, ma è la mia posizione. Per questo mi è sempre sembrato assurdo che i miei commenti venissero interpretati come un appoggio a Hamas o Hezbollah! Non ho mai preso una posizione su nessuna organizzazione, così come non ho mai appoggiato tutte le organizzazioni che presumibilmente fanno parte della sinistra globale – non sono una sostenitrice incondizionata di tutti i gruppi che oggi fanno parte della sinistra globale. Dire che quelle organizzazioni fanno parte della sinistra non significa dire che esse dovrebbero esserne parte, o che in qualche modo le appoggio.Due altri punti. Appoggio il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) con una modalità specifica di appoggio. Ne rifiuto alcune versioni e ne accetto altre. BDS per me significa che mi oppongo agli investimenti in compagnie che producono equipaggiamenti militari il cui solo scopo è di demolire case. Questo vuol dire che non parlo in delle istituzioni israeliane a meno che non prendano una posizione chiara contro l’occupazione. Non accetto nessuna versione del BDS che discrimina contro i singoli individui sulla base della loro cittadinanza nazionale e continuo ad avere strette relazioni di collaborazione con molti studiosi israeliani. Una delle ragioni per cui appoggio il BDS e non appoggio Hamas e Hezbollah è che il BDS è il movimento civile e politico non-violento più ampio che cerchi di stabilire l’uguaglianza e il diritto all’auto-determinazione per i palestinesi. Il mio punto di vista è che i popoli di quella terra, ebrei e palestinesi, devono trovare un modo per vivere insieme in condizioni di uguaglianza. Come molte altre persone, desidero una comunità politica democratica su quella terra e sostengo i principi di autodeterminazione e coabitazione per entrambi i popoli e per tutti i popoli. Desidero, come lo desidera un numero sempre crescente di ebrei e non-ebrei, che venga posta fine all’occupazione, che cessi la violenza, e che i diritti politici fondamentali di tutti i popoli che vivono in quella terra vengano preservati da una nuova struttura politica.Due ultime note. Il gruppo che sponsorizza l’attacco contro di me si chiama Scholars for Peace in the Middle East – un nome quantomeno improprio – e nel suo sito web si sostiene che l’"Islam" è una "religione intrinsecamente antisemita (sic!)". Contrariamente a quanto riportato dal Jerusalem Post, non si tratta di un folto gruppo di studiosi ebrei con base in Germania, ma di una organizzazione internazionale con base in Australia e in California. Essi fanno parte di una organizzazione di destra e dunque di una guerra intra-ebraica. Un ex-membro del loro consiglio di amministrazione, Gerald Steinberg, è noto per i suoi attacchi contro le organizzazioni per i diritti umani israeliane, contro Amnesty International e Human Rights Watch. A quanto pare lo sforzo che questi gruppi compiono per denunciare le violazioni israeliane dei diritti umani le rende etichettabili come “organizzazioni antisemite”. Per finire, non sono lo strumento di nessuna organizzazione non-governativa: faccio parte del comitato consultivo di Jewish Voice for Peace; sono membro della sinagoga Khelillah a Oakland, in California; sono membro esecutivo della Faculty for Israeli-Palestinian Peace negli Stati Uniti e del Freedom Theatre di Jenin. I miei punti di vista politici toccano vari argomenti e non sono ristretti al Medio Oriente o allo Stato di Israele. Infatti ho scritto di violenza e ingiustizia in altre parti del mondo, ponendo la mia attenzione sulle guerre scatenate dagli Stati Uniti. Ho scritto anche di violenza contro le persone transessuali in Turchia, di violenza psichiatrica, di tortura a Guantanamo e di violenza della polizia contro i manifestanti pacifici negli Stati Uniti, solo per menzionare alcuni dei miei interessi. Ho scritto anche di antisemitismo in Germania e contro la discriminazione razziale negli Stati Uniti.

lunedì 10 settembre 2012

Free Angela & All Political Prisoners

 
Non mi sarebbe dispiaciuto affatto fare un salto al Toronto Film Festival per vedere il film documentario di Shola Lynch Free Angela & All Political Prisoners, ma dobbiamo necessariamente  accontentarci del trailer ...

domenica 9 settembre 2012

Essere rom in Italia e in Europa

Ricevo da Dimitris Argipoulos - che ringrazio - l'ultimo numero della rivista Educazione democratica, uscito in giugno. Con Essere rom in Italia e in Europa, la rivista continua il suo viaggio "nelle periferie della nostra democrazia", - inaugurato con un numero dedicato al carcere -, proponendo ora una sorta di dossier sulla situazione dei rom, gli esclusi per antonomasia: il rom è infatti, come si legge nell'introduzione al numero, "colui che la società, che si dice democratica, aperta, tollerante, non riesce da accettare". Potete leggere (e scaricare) Essere rom in Italia e in Europa - così come gli altri numeri -, direttamente dal sito della rivista. Buona lettura.
(Alcuni articoli correlati in Marginalia: Antiziganismo in Europa. Una barbarie che avanza, Stranieri ovunque "Zingari", "nomadi", un malinteso europeo Zingari d'Italia L'estraneo tra noi)

venerdì 7 settembre 2012

Zanele Muholi / Una mostra al Some Prefer Cake

Vi avevamo già anticipato la presenza, tra le altre, dell'artista Zanele Muholi, alla nuova edizione del Some Prefer Cake, che si svolgerà a Bologna dal 20 al 23 settembre. Continuando il percorso di indagine sulla relazione tra il cinema e le altre forme artistiche della contemporaneità, il festival presenta anche un progetto espositivo dedicato all’opera dell'artista sudafricana, Zanele Muholi. Visual artivist. La mostra, che sarà visitabile dal 21 settembre fino al 20 ottobre, propone una selezione di opere fotografiche di Muholi tratte dalle serie Faces and Phases e Being, che mostrano come l'artista coniughi la produzione artistica con l’impegno politico, dando vita a quello che lei stessa definisce “attivismo visuale”. Attivismo per il quale ha subito, e continua a subire, pressioni e intimidazioni, come la recente devastazione dell'appartamento che condivide con la sua compagna Liesl Theron, durante la quale è stato sottratto il suo archivio fotografico.

lunedì 3 settembre 2012

La "matrice balcanica" e il razzismo geografico

Una recente ricerca presentata da alcune associazioni italiane al Cerd (il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale delle Nazioni Unite), ha messo il luce come in Italia la diffusione dell’incitamento all’odio razzialenel discorso pubblico, politico e mediatico - il cosiddetto racist hate speech -, come anche il razzismo diffuso attraverso internet e social network, è in costante e preoccupante aumento. Potete scaricare e leggere il rapporto qui, intanto di seguito pubblichiamo una lettera al direttore del quotidiano Il Piccolo di Trieste, scritta da Claudia Cernigoi, lettera che denuncia l'ennesimo episodio di razzismo via carta stampata: "Leggendo gli articoli di cronaca relativamente al brutale duplice omicidio di Lignano sono rimasta esterrefatta di fronte alla definizione di “matrice balcanica” per gli autori del delitto in quanto esso è stato commesso in “totale mancanza di scrupoli e del benché minimo rispetto per la vita umana”. Cosa significa “matrice balcanica”? I Balcani sono un territorio molto vasto, da una cartina in Wikipedia si vedono compresi gli Stati della ex Jugoslavia, la Grecia, l’Albania, la Bulgaria, parte della Romania e la Turchia europea; ma anche la provincia di Trieste, a guardare bene.E perché attribuire ai popoli, genericamente, dei “Balcani” l’abitudine di commettere delitti tanto efferati? Forse che in Italia non abbiamo mai assistito a delitti efferati condotti senza rispetto per la vita umana, dalle esecuzioni della criminalità organizzata ai serial killer come il “mostro di Firenze” e via dicendo? Mi permetto di osservare che non mi sembra corretto né opportuno, in una società che diventa sempre più etnicamente mista, porre accenni razzisti di questo tipo negli articoli di cronaca. Distinti saluti, Claudia Cernigoi". (Alcuni articoli correlati in Marginalia: No trespassing , Hina Saleem e le altre, Economia politică a violului).

Shulamith Firestone / Ad memoriam

Dal Guazzington Post di Paola Guazzo, un ricordo di Shulamith Firestone, femminista già autrice del celebre The Dialectic of Sex: The Case for the Feminist Revolution, tradotto nel 1971 in italiano con il titolo di La dialettica dei sessi. Autoritarismo maschile e società tardo-capitalistica, trovata morta qualche giorno fa nel suo appartamento di New York

sabato 1 settembre 2012

Femminismo senza frontiere di Chandra Talpade Mohanty / Una recensione

Dalla mailing list di Migranda ci segnalano una recensione di Paola Rudan - che potete leggere qui -, al volume di Chandra Talpade Mohanty Femminismo senza frontiere, recentemente tradotto in italiano e di cui avevamo già pubblicato un breve, ma significativo, frammento. Buona lettura

Queer sexualities, nationalism and racism in the new Europe

Per chi attualmente è londinese - o lo sarà intorno al 19 ottobre - segnalo questa interessante giornata di studi alla London South Bank University,Queer sexualities, nationalism and racism in the new Europe. L'iniziativa E qui la fine del post. Over the last few years, debates about nationalism and racism have received renewed critical attention within queer/sexuality studies. Just as the boundaries of ‘Europe’ are being redefined through economic and political integration, the protection of sexual citizenship rights is increasingly celebrated as a core ‘European’ value. However, this discourse has been deployed to produce new exclusions, in a context marked by the rise of defensive and inward-looking nationalisms, by the lingering ‘war on terror’, by increased mobilities within Europe and by initiatives aimed at limiting migration towards ‘Fortress Europe’. As the secular liberalism that inspired both feminism and gay liberation is increasingly becoming conflated with ‘Europeannes’ and ‘whiteness’, important questions are raised about the relationship between sexual citizenship and national belonging in different European contexts; about the ability of LGBTIQ and feminist movements to sustain meaningful solidarities across cultural and geographic boundaries; and about LGBTIQ and feminist communities’ ability to embrace difference along racial, ethnic and faith lines.