sabato 31 gennaio 2009

La persecuzione dei neri in Europa sotto il Terzo Reich

Stasera, in occasione della Giornata della memoria, il Centro Interculturale Zonarelli, l'Assemblea Antifascista Permanente e l'Associazione Sopra i Ponti propongono la proiezione del documentario di Serge Bilé Noirs dans les champs nazis. Questo documentario, così come l'omonimo libro, squarcia il velo su una pagina ancora poco nota dello sterminio nazionalsocialista, ovvero la presenza di african*, antillan* e afroamerican* in Europa al tempo del Terzo Reich e che furono vittime di persecuzione, uccisi, sterilizzati o deportati nei lager, a volte per la loro militanza antifascista, ma molto più spesso solo per il "colore" della loro pelle. Dopo la proiezione del documentario seguiranno interventi di Luca Alessandrini dell'Istituto Storico Parri su Il razzismo italiano in epoca fascista, di Antar Mohamed Marincola su La storia di Giorgio Marincola, unico partigiano nero della Resistenza italiana e del Coordinamento Migranti sulle Odierne politiche di discriminazione dei diversi e degli stranieri in Italia
Per ulteriori info sulla serata rinvio qui, qui e qui
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giovedì 29 gennaio 2009

Musulmane rivelate. Donne, islam, modernità.

Musulmane rivelate. Donne, islam, modernità è l'ultimo libro di Ruba Salih, antropologa italo-palestinese. Un suo saggio - Femminismo e islamismo. Pratiche politiche e processi di identificazione in epoca post-coloniale, saggio che potete leggere qui -, era stato pubblicato qualche anno fa nel volume Altri femminismi a cura di Teresa Bertilotti, Cristina Galasso, Alessandra Gissi e Francesca Lagorio. Saggio illuminante laddove sottolineava " che mai come ora è necessario trovare delle concettualizzazioni del femminismo che si pongano in un'ottica di superamento nei confronti di quell'approccio etnocentrico con cui molta parte del pensiero femminista occidentale ha per lungo tempo guardato ad altre esperienze di emancipazione, soprattutto nel mondo islamico", interrogandosi "sulle questioni poste dal tentativo di superare un'unica epistemologia femminista per avviare una nuova concezione del femminismo che sia in grado di cogliere le specificità culturali all'interno delle quali una molteplicità di movimenti femminili in diverse società avanzano richieste di diritti e di riconoscimento. Da una parte, pare giusto prestare attenzione alle voci critiche che sottolineano, come una diffusa retorica multiculturalista in Europa abbia portato alla progressiva marginalizzazione delle voci laiche e progressiste nel mondo islamico, così come in Europa. In taluni casi, nell'urgenza di produrre contro-discorsi che facessero da contrappeso alle rappresentazioni orientaliste frutto di una sempre più diffusa e pericolosa islamofobia, si è finito con lo sposare visioni totalmente a-critiche anche nei confronti di aspetti deplorevoli delle società e dei regimi musulmani. Tuttavia, queste giuste considerazioni corrono un rischio uguale e di segno opposto a quello da loro denunciato, cioè di marginalizzare come estremista e fondamentalista una vastità di soggettività e movimenti estremamente diversificati al loro interno che, nelle proprie pratiche così come nei propri discorsi, propone la piena compatibilità tra la propria cultura e religione e i principi di uguaglianza tra i generi".
I recenti dibattiti (o non-dibattiti), nati a ridosso delle vicende di Gaza, su donne/islam/laicità hanno mostrato, mi sembra abbastanza impietosamente, la necessità di tornare (per molt* cominciare ...) a riflettere intorno a queste questioni. E questo volume mi sembra possa essere un ottimo inizio.
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Articoli correlati in Marginalia:

Integralismi a confronto
Lobby continua alle Crociate?
Gaza. Dei vivi che passano
Over my dead body
Per non tornare alle Crociate
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martedì 27 gennaio 2009

Una biblioteca della memoria

Questo blog è nato il 27 gennaio di tre anni fa, e non a caso. In quell'occasione avevo pubblicato un articolo scritto qualche anno prima con Toshi Kayano sulla vicenda delle donne coreane costrette alla prostituzione dall'esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale. Lo scorso anno invece sono stata coinvolta, insieme ad altr* blogger in una sorta di "catena per (o della ) memoria". Si trattava di scrivere un post, nel quale indicare un testo sulla Shoah (motivando ovviamente la scelta) e di rilanciare contemporaneamente la domanda ad altr* blogger. Stravolgendo un po' quanto mi si chiedeva, di libri ne avevo infine proposti diversi, insieme ad un film (perché oltre ai libri "parlano" anche le immagini, in movimento o no), ma senza rilanciare direttamente l'iniziativa ad altri (per i miei tempi lenti, mancanza di tempo eccetera) .
Rilancio quindi l'idea quest'anno a Urgence, Angelo del fango, Liberamente, Paolo Borrello, No(b)logo, Il Russo, Luki Massa e Ideadestroyingmuros, chiedendo di rilanciare la proposta ad altr* e tenendo come sfondo (in un confronto che può essere, ovviamente, anche critico) tre articoli: Riprendiamoci la giornata della memoria in Senza Soste, Gaza. Dei vivi che passano, pubblicato qui in Marginalia e l'intervista a David Bidussa pubblicata oggi da Il Manifesto, dove viene sottolineato come la Giornata (a nove anni dalla sua istituzione) sia in crisi, crisi dovuta al fatto che intorno a questa data (come anche ad altre) non sia cresciuta una vera coscienza pubblica (ma l'intervento di Bidussa andrebbe letto tutto).
Prendetevi tutto il tempo che vi serve, intanto vi lascio alle tante iniziative previste per oggi. Tra queste ne segnalo alcune: l'incontro organizzato da Fuoricampo Lesbian Group R/esistenze: figure di lesbice scomode durane il nazifascismo, quello organizzato in solidarietà all'Ambulatorio medico popolare di Milano Ma che razza di idee! Politiche razziali di ieri e di oggi e l'iniziativa prevista stasera al Tpo Chiudere CasaPound, perchè se posti come Conchetta vengono sgombrati mentre i cosiddetti "centri sociali" di destra si moltiplicano come funghi, quale memoria possiamo aspettarci?
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domenica 25 gennaio 2009

Per non tornare alle Crociate

Basta Guantanamo, basta spaghetti, è stato uno degli slogan scandito dai migranti protagonisti ieri di una determinata (ma pacifica e direi quasi gioiosa, almeno fino all'arrivo delle camionette ...) "fuga di massa" dal "centro di prima accoglienza" (?) di Lampedusa.
Questi migranti in rivolta non hanno bisogno di parlare di lager, chiamano le cose con il loro nome, semplicemente. Sanno che questo basta (dovrebbe bastare) a descrivere l'inferno in cui sono costretti a vivere (talvolta per mesi), le terribili condizioni di vita, il sovraffollamento, i servizi igienici orribili, con la puzza che arriva fino alle camerate impedendo di respirare, gli abusi continui, l'impossibilità - anche momentanea -, di uscire dal perimetro del centro (checché ne dica Berlusconi), i tanti episodi di "ordinario" razzismo. Abusi già denunciati dal giornalista Fabrizio Gatti (che, fingendosi "clandestino", riuscì a vivere per una settimana nel Cpa), alcuni dei quali (imposizione a migranti di fare il saluto militare, uso manette di plastica) immortalati nel video di Mauro Parissone, nei giorni del vergognoso (e negato) maquillage del centro in vista di una ispezione Ue nell'ottobre 2005.
Con "Basta Gunatanamo, basta spaghetti", i migranti detenuti illegalmente a Lampedusa sanno di cosa parlano, e sanno anche cosa chiedono. Chiedono la chiusura di centri di detenzione illegale (perché questo sono) come Lampedusa e Guantanamo, e lo chiedono in un paese dove sembra che le uniche chiusure legittime o tollerabili siano quelle dei centri religiosi, chiusure invocate a gran voce dalla destra razzista e xenofoba per alimentare il fantasma della guerra di religione e dello scontro di civiltà (mi riferisco alle moschee ovviamente, non al Vaticano, alle sedi dei vari movimenti per la vita e alle super finanziate scuole cattoliche ...) come anche dei centri antiviolenza (dove la chiusura non è apertamente invocata ma resa probabile dai continui tagli ai finanziamenti) o di quei centri di aggregazione, diffusione e trasmissione di cultura "altra", come dimostra il recente sgombero di Conchetta a Milano (e su Conchetta rinvio alla bella testimonianza di Giovanni Cesareo e al comunicato Conchetta, la nostra storia, la nostra libertà dell'associazione Storie in movimento e di Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale).
Mentre il capo del nostro governo minimizza la rivolta di Lampedusa (affermando che "E' tutto sotto controllo. Mica il centro è un lager. Possono uscire, vanno a prendere una birra in paese come tutti i giorni"), il nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Hussein Obama, annuncia la volontà di chiudere Guantanamo, dando un po' di speranza nel cambiamento in quant*, pur sapendo quello che Obama non potrà essere (non potrà e non riuscirà a cambiare tutto e subito, nè a Guantanamo, nè in Iraq, nè in Medio Oriente, nè nel suo stesso paese), si sono sentiti parte di quell'esplosione di gioia che, all'annuncio della vittoria su Bush, portò in strada milioni di persone, soprattutto nei (cosiddetti) ghetti abitati da latinos, neri, asiatici e altre "minoranze" in tutti gli Stati Uniti, nei sobborghi di Londra e altre metropoli, nelle banlieues parigine, nelle favelas e nelle baraccopoli africane.
E' necessario sostenere questa volontà di chiudere Guantanamo (una petizione giace, già da qualche annetto, nella rubrica Urgenze nel blogroll qui di fianco: se non l'avete ancora firmata, fatelo! ... e fate circolare!), chiedere la chiusura dei vari centri di "accoglienza" e "permanenza" molto poco temporanei sparsi per l'Italia, chiedere la liberazione di coloro che sono detenuti illegalmente nelle "prigioni speciali" generate dalla "lotta al terrorismo" come, ad esempio, Abou Elkassim Britel, sostenere le lotte dei/delle migranti e tutte le forme di resistenza dignitosa, come quella del giornalista dell'emittente Al-Baghdadia, Muntadar al Zaidi, (o Muntaẓar al-Zayidī, è difficile non perdersi nei meandri delle traslitterazioni, comunque in arabo dovrebbe essere منتظر الزيدي ) che a metà dicembre a Baghdad durante una conferenza stampa congiunta del premier iracheno Nuri al Maliki e del presidente (oramai ex) statunitense George Bush, lanciò le scarpe contro quest'ultimo (qui il video per chi ancora non lo avesse visto).
Ma resistere è rischioso, per alcun* più di altr*. Non conosciamo ancora le conseguenze che ci saranno per i migranti che hanno protestato a Lampedusa, confuse sono anche le notizie su Muntadar al Zaidi (sappiamo di certo che rischia fino a 15 anni di carcere e che il processo che doveva tenersi il 31 dicembre è stato rinviato) e poco si riesce a sapere delle condizioni di vita dei/delle migranti detenuti illegalmente, dei rimpatri forzati, della sorte che attende centinaia di queste persone una volta rinviati "nei paesi di partenza" ...
Sostenere queste lotte significa anche non cadere nelle trappole costituite, qui in Occidente, dai discorsi che fomentano l'idea di uno "scontro di civiltà", e di una "guerra di religione", trappole che servono (tra l'altro) a distogliere lo sguardo dei/delle più dai problemi reali e urgenti, ma che servono anche, all'occorrenza, ad incriminare singoli individui come dimostra la vicenda di Rafia, compagno da sempre impegnato nella lotta per i diritti dei/delle migrant*, attivista dell'associazione Sotto i ponti e del Coordinamento migranti di Bologna, indagato dalla procura per la preghiera islamica in piazza Maggiore a conclusione della manifestazione per Gaza del 3 gennaio scorso.
Rafia non è un "fondamentalista", e questa vicenda è solo l'ennesimo tentativo di criminalizzare e togliere agibilità politica a quant* si sono mobilitati in questi anni per la chiusura dei centri di accoglienza e permanenza "temporanea", contro la legge Bossi-Fini, contro il pacchetto sicurezza, contro l'uso in termini razzisti e securitari della violenza sulle donne, per la libertà di tutti e tutte.
E non posso, anche (o forse soprattutto) come laica, non riconoscermi nello striscione portato ieri da un gruppo di donne migranti alla manifestazione regionale per Gaza a Bologna: "Se pregare è un reato in che democrazia siamo?"
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Per l'immagine, vabbè lo so, è un'altra versione della stessa bellissima donna che ho usato innumerevoli altre volte, l'ultima poco tempo fa (a proposito: il messaggio è sempre valido), direte che sono monotona o forse monogama, ma cosa volete farci io l'adoro ...
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venerdì 23 gennaio 2009

Over my dead body


Mentre l'esercito israeliano si ritira da Gaza dove si continua a scavare tra le macerie in cerca di cadaveri (e mentre qui qualche avvoltoi*, non trovando nulla di meglio per i suoi denti, prova ad avventarsi su di me) un'altra immagine di Mona Hatoum.
Senza commento
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sabato 17 gennaio 2009

Gaza. Dei vivi che passano


Sono passate settimane dall'inizio dei bombardamenti su Gaza, settimane durante le quali l'attivismo contro la guerra e per il cessate il fuoco non ha avuto tregua, tra appelli, presidi, petizioni per il boicottaggio dei prodotti made in Israel e per la sospensione degli accordi commerciali con Israele , manifestazioni grandi e piccole in tutto il mondo, da Roma ad Atene, da Parigi a Tel Aviv.

In molt*, in questi giorni convulsi, condividevamo la consapevolezza dolorosa che tutto questo non avrebbe fermato in tempo il sangue che scorre a fiumi, la mattanza: questa finirà solo quando non resterà più nulla – case, moschee, ospedali, scuole, esseri umani –, da sventrare o quando (ma forse è lo stesso) l'esercito israeliano (e tutto quello che gli sta dietro: interessi economici e politici su scala mondiale) riterrà che – per questa volta – , basti.

Eppure non si può restare inerti dinanzi al sangue che scorre, ognun* deve fare quello che può e sa fare. Mobilitarsi, agire, scrivere. Di quest'ultima cosa non sono stata capace, ancora pochi giorni fa dicevo che non potevo scrivere di/su Gaza o potevo scriverne solo come Viktor Sklovskij parla d'amore senza parlare d'amore. Scrivere d'altro, di altre cose ... Non è stato per quel “confuso ritegno” di cui parla Primo Levi e che sigillò le bocche dei soldati dell'Armata Rossa al loro arrivo ad Auschwitz il 27 gennaio del 1945 a rattrappirmi le mani. Non è stato lo shock dei corpi di donne, uomini, e soprattutto bambini e bambine fatti a pezzi e mostrati nei servizi televisivi, sui giornali, nei siti e nei blog di tutto il mondo. Ho visto tante volte il sangue scorrere a fiumi – e anche voi l'avete visto, non potete non averlo visto – , i corpi sventrati per le strade, i cadaveri ammucchiati, rigidi, bambin* con la testa sfondata, la materia cerebrale che cola addosso a quelle che forse furono le madri e lì vicino donne rese pazze dagli stupri e dall'orrore.

Il sangue l'ho visto. Ho visto quello degli africani e delle africane bastonati a morte nelle piantagioni di cotone dell'America schiavista, il sangue dei linciaggi in nome della supremazia bianca del Ku Klux Klan, il sangue che colorò di rosso le vie di Addis Abeba durante la feroce rappresaglia fascista italiana del febbraio 1937.

E ho visto il sangue che bagnava le macerie di Guernica e i sentieri di Montesole nel settembre del 1944, ho visto le stragi nazifasciste. E so del sangue ad Auschwitz, il sangue di milioni di ebre* sacrificat* al mito della pura razza ariana insieme ad altri esseri umani giudicati non degni di vivere: "zingari," gay e lesbiche, Testimoni di Geova ... E l'ho visto a Parigi, era il 1966, i corpi di centinaia di algerini massacrati e buttati giù nella Senna. Più tardi l'ho visto a Srebrenica, solo tre mesi per massacrare più di 800 mila donne, uomini, bambin*. L'ho visto per le strade di Baghdad (ricordate le luci dei bombardamenti nella notte trasmesse dai Tg? Dicevano che sembravano fuochi d'artificio ...), e l'ho visto per le strade di Gerusalemme e Tel Aviv dove i corpi smembrati dei/delle shahid si confondevano con i corpi smembrati delle loro vittime israeliane. Ho visto il sangue scorrere a fiumi sotto i colpi di machete in Ruanda, e poi in Somalia, in Afghanistan, in Cecenia, ... E l'ho visto in Palestina – e anche voi l'avete visto – lì dove scorre da più di cinquant'anni ...

Sì, l'ho visto – lo abbiamo visto – in tanti posti, in tanti altri posti. Perché la cartina geografica dei massacri è grande, immensa, difficile da abbracciare tutta con lo sguardo come si dovrebbe. Talvolta alcuni nomi si ricordano e altri no. Dipende da chi guarda. E da come guarda. Ma il sangue comunque lo vedi, tantissimo sangue, ed è uguale dappertutto, uguale per tutti (questo lo so senza ombra di dubbio, perché il sangue l'ho visto, lo vedo, anche per le strade delle “nostre città”), ed è così tanto che ti stupisci che la terra possa assorbirlo e ti dici che prima o poi sommergerà tutto, ci sommergerà tutt*. Un bagno di sangue transnazionale, globale. A volte, al buio, quando sono più cosciente della necessità di riconoscere la nostra umana comune vulnerabilità (quella di cui parla Butler in Vite precarie) immagino tutto questo sangue sudare dalla terra, salire, riempirmi la bocca, il naso, gli occhi, fino a soffocarmi.

Ma non è questo che ammutolisce, che mi ammutolisce. Piuttosto è il rendersi conto, che tutto questo sangue – quel sangue di cui sono fatti i libri di storia, storia talvolta con la s maiuscola, talvolta minuscola, che merita talvolta la prima pagina dei quotidiani, talvolta soltanto i titoli che scorrono in basso negli schermi televisivi – ha insegnato ben poco.

E non mi riferisco ai governi muti davanti alle atrocità commesse dall'esercito israeliano, agli stati occidentali e arabi (come l'Egitto, stretto alleato degli Stati Uniti) che appoggiano il governo terrorista di Tel Aviv, non mi riferisco alla sinistra “istituzionale”, in specie italiana, e ai suoi colpevoli silenzi, né ovviamente ai fondamentalisti, ai neofascisti, ai razzisti , alle orianefallaci e ai guidocalderoli. Questi li combatto, li ho sempre combattuti e so che né la storia né il sangue li cambierà, perché della mattanza si nutrono divenendo sempre più forti. Mi riferisco invece a quello che, genericamente, viene definito “popolo dell'estrema sinistra”, fatto di tante realtà diverse (femministe, pacifist*, libertar*, attivist* lgbt, antirazzist* ...), quel popolo di cui faccio parte (seppure talvolta con qualche disagio), quel popolo che così macroscopicamente – e generosamente – si è attivato in questi giorni.

E' anche questo sangue che spinge ad attivarsi (ed è per questo che credo, come Susan Sontag, nella funzione e nella necessità“etica” e “pacifista” di mostrare le immagini di uomini, donne, bambin* massacrati), ma sempre terribilmente in ritardo, perché per essere efficaci le petizioni, gli appelli, le manifestazioni, i boicottaggi hanno tempi lunghi, lenti. Non è un caso che funzionino in quei casi dove non si aspetta che il sangue sgorghi a fiotti, quando oramai è troppo tardi per arrestarlo, ma si agisce in anticipo, ai primi “segnali”. E questi ultimi, in realtà, erano evidenti in Palestina da veramente tanto tempo: da più di cinquant'anni sono all'ordine del giorno i villaggi rasi al suolo dall'esercito israeliano, le migliaia di profughi, la confisca dei beni e il blocco della mobilità dei/delle palestines* con check point e muri, altre stragi e, all'interno di Israele, la criminalizzazione di quanti dissentivano dalla politica governativa con decine e decine di obiettori di coscienza, pacifisti e anarchici in carcere . Non voglio dire certo che non c'è stato chi questi segnali li ha visti (e li ha denunciati) da tempo, ma sono state voci più o meno isolate, o che solo raramente hanno trovato lo spazio per esprimersi o l'appoggio e la visibilità di cui avevano bisogno per far sì che la loro pratica politica fosse realmente efficace. Ma si reagisce in massa solo di fronte all'emergenza, a questo sangue che sgorga a fiotti e che troppo spesso coglie quasi impreparat*, costrett* a svolazzare come farfalline impazzite dinanzi a una fonte di luce improvvisa. Si tenta di di recuperare brandelli di iniziative passate: ad esempio la proposta di boicottaggio dei prodotti made in israel risale al 2005: come posso non chiedermi se averlo diffuso e attuato massicciamente da allora avrebbe cambiato le forze in campo, avrebbe, se non evitato, magari attenuato la mattanza di queste settimane? So bene che la storia non si fa con i se, ma come posso non chiedermi l'effetto che avrebbe avuto il dare più appoggio, negli ultimi anni, ai/alle pacifist* e obiettori/obiettrici di coscienza israeliani, ai dissidenti, artisti, intellettuali, organizzazioni femministe (qui un recente appello), così come alla resistenza palestinese che non è solo Hamas, realtà restate finora quasi sconosciute?

Sappiamo, oggi, quanto abbia pesato il silenzio di chi sapeva (Vaticano in testa, ma non solo) sulla sorte di migliaia di ebre* d'Europa sterminati nei campi della morte del Terzo Reich. Quant* potevano essere salvat* da un intervento alle prime “voci”? Ma, all'epoca (senza voler giustificare alcunché), non c'erano i mezzi odierni, mezzi che permettono lo scambio veloce di informazioni, foto, documenti. Non c'erano gli strumenti di pressione che abbiamo oggi, non c'era la possibilità per chi era nell'inferno dei campi e dei ghetti delle zone occupate, di inviare giorno dopo giorno notizie su quanto succedeva, come fa ad esempio oggi, a rischio della propria vita, Vittorio Arrigoni con il suo Guerrilla Radio da Gaza.

E' strano che il ricordo dello sterminio nazista (così massicciamente presente in appelli, documenti, articoli e volantini pro-Gaza di quel popolo dell'estrema sinistra di cui parlavo all'inizio), non serva per riflessioni di questo tipo ma solo per strumentali equazioni, che avevo sperato superate, come “israeliani-nazisti”, (o peggio “ebrei-nazisti”), "nazisionisti", "nazi-sionismo" fino all'immagine di una stella di Davide uguale svastica che ha campeggiato qua e là in diversi cartelli durante manifestazioni e presidi delle ultime settimane.

Possibile che ancora non si sia capaci di rendersi conto di come questo linguaggio sia non solo infondato storicamente (lo sterminio nazista ha una sua specificità, una sua singolarità) ma anche inefficace e fuorviante politicamente? Dovrebbe essere chiaro a tutt* che, se il sangue che scorre è lo stesso dappertutto, non sono gli stessi i fenomeni che lo fanno sgorgare, e di conseguenza i modi, le azioni, le pratiche che dobbiamo mettere in campo per contrastarli: gli stermini, i massacri, i razzismi, i sessismi non sono tutti uguali, fare amalgama ci impedisce l'effettiva comprensione di quanto succede, ci impedisce di agire efficacemente. Rischiamo, inoltre, di confondere i nostri discorsi con quanti ne fanno uso per scopi diversi e talvolta opposti, dai “movimenti per la vita” (per i quali l'aborto è “il nuovo olocausto”) culla di tutti i fondamentalismi, ai vari raggruppamenti neofascisti, violentemente antisemiti ma anche sessisti e razzisti, fino allo stesso governo israeliano che usa ( inversamente e in maniera vergognosa, ma lucida, non credo che ciò si possa spiegare in termini di “popolo traumatizzato”) la tragedia (vera) di milioni di ebrei per mettersi sempre nella posizione di “unica vittima” e giustificare così tutto, dalla sua politica neo-coloniale contro i/le palestinesi, alla soppressione delle voci dissidenti, alle alleanze con governi più o meno fascisti.

Anche la convinzione avanzata da alcun* che l'amalgama israeliani-nazisti, seppur falsa storicamente, potrebbe avere un senso perché lo shock dell'accostamento può “risvegliare le coscienze” e rendere maggiormente attivi contro la guerra, mi sembra una pericolosa (e pia) illusione, ma non solo. Certo l'accostamento può risultare efficace, ma possiamo davvero pensare che il nazismo, lo sterminio nazifascista, il Terzo Reich, banalizzato e distorto da anni di revisionismo di stato, di negazionisti “sdoganati” anche nella cosiddetta estrema sinistra, di croci celtiche messe in bella mostra per pubblicizzare un Gay Pride, abbiano ancora l'effetto taumaturgico di “scioccare”? E se anche fosse (ma non è), crediamo forse che le immagini di uomini, donne, bambini massacrati a Gaza, sventrati, fatti a pezzi, con i lobi oculari strappati fuori dalle orbite dai bombardamenti al fosforo bianco non siano “abbastanza” per le nostre fottute coscienze intorpidite?

Si è tanto parlato infine, anche su quotidiani nazionali italiani, del “disagio” provato da molti e molte (laici, rispettosi e attivisti dei diritti delle donne e del movimento lgbt, antirazzisti) di ritrovarsi in piazza insieme a bandiere bruciate, cartelli “Stella di Davide=svastica”, slogan feroci contro Israele nazista, ma più in particolare per i troppi Allah Akbar , per le “donne arabe” silenziose ( sottomesse?), per le preghiere durante le manifestazioni ...

Capisco il disagio per le metafore che rinviano al nazismo, ho spiegato perché neanch'io le condivido, ma mi fa un certo effetto quando a dichiarare disagio sono anche coloro che per anni hanno contribuito a creare le condizioni (politiche e anche culturali) per simili derive. Penso a quanti, nella sinistra istituzionale, hanno promosso collocando sullo stesso piano i/le partigian* e “i ragazzi di Salò” una politica di “pacificazione nazionale”, ma anche a quanti nell'estrema sinistra, hanno tollerato chi proponeva come “rivoluzionari” gli scritti negazionisti di un Robert Faurisson, quanti hanno lasciato che si incensasse il Celine grande scrittore senza ricordare che è stato un antisemita e un collaborazionista e quanti hanno partecipato o non contestato il grande dialogo destra/sinistra. Questo mi crea disagio, un terribile disagio. E me ne creano ancor di più quant* si strappano le vesti per le “preghiere islamiche” durante le manifestazioni appellandosi alla laicità. Sorvolo sul fatto banale che viviamo in un paese dove il santo crocefisso la fa da padrone nella stragrande maggioranza delle aule scolastiche, degli uffici pubblici, dei tribunali e financo ai capezzali dei/delle moribonde negli ospedali, dove nelle mense scolastiche servono il pesce solo il venerdì, dove la giornata di riposo è ancora la domenica della messa, dove ti possono capitare le cose più incredibili, ad esempio avere un/una figli* che seppure esentat* dall'ora di religione (cattolica) si ritrova in italiano e storia la stessa insegnante di religione (magari nominata direttamente dalla Curia), oppure di andare al parco di domenica mattina (da laic* non vai in chiesa) e ritrovarti nel bel mezzo di una messa all'aperto con canti e salmi diffusi dagli altoparlanti (scopri poi che è una “festa” organizzata da Cl) ...

Sorvolo anche sul fatto che sono anni che la sinistra, anche estrema, si confronta e rapporta con realtà cattoliche, che queste sono presenti alle “nostre” manifestazioni, che dopo i preti partigiani abbiamo avuto anche i preti no-global, che alcuni settori del femminismo è già qualche decennio che si confrontano con donne cattoliche. E tutto questo non mi sembra abbia creato nelle attuali anime belle a disagio per Allah Akbar (Dio è il più grande di tutti) dei grandi disagi. Mi si obietterà che c'è una differenza, qui abbiamo a che fare con i fondamentalisti, gente invasata che manifesta urlando versetti sacri (l'ho letto da qualche parte, non riesco più a ricordare dove, ma non era un' affermazione né di qualche militante della Lega né di Forza Nuova).

Alessandro dal Lago in un articolo pubblicato su Il Manifesto, Gaza e l'ipocrisia dell'Occidente, illustra, schematicamente ma mi sembra correttamente, il complesso processo che ha portato al rafforzamento del fondamentalismo islamico in Medio Oriente e alla nascita di “simpatie” per il radicalismo religioso anche in Occidente tra coloro che, come i/le migranti, sono il bersaglio di un violento razzismo e vittime di intollerabili diseguaglianze sociali, economiche e politiche : “Dov'è la sorpresa dei migranti che chiudono in preghiera le manifestazioni di protesta, in Europa e in Italia, contro l'attacco a Gaza? La religione, soprattutto agli occhi dei giovani, appare come l'ultima risorsa di una resistenza a cui qualsiasi motivazione politico-ideologica tradizionale è venuta a mancare. Resistenza contro Israele, certo, ma anche contro le élites autoritarie e opportuniste dei paesi arabi, l'indifferenza europea e l'ottusità muscolare del governo americano. E così la simpatia per il radicalismo islamico tra i palestinesi (che non hanno nulla da perdere), o da noi, dove i diseredati si identificano facilmente con loro, non può che aumentare. È probabile che da qualche parte, nelle montagne tra Afghanistan e Pakistan, qualcuno si stia fregando le mani”.

Ma vorrei andare oltre, focalizzare l'attenzione su questa pericolosa tendenza a guardare ai/alle migranti come ad un blocco monolitico, omogeneo. Nonostante non tutt* i/le migranti siano musulmani, nonostante ci sono state, in questi anni, innumerevoli manifestazioni di migranti senza preghiere e Allah Akbar (e chi vi ha partecipato, non sempre molt* in verità, lo sa), nonostante anche nelle recenti manifestazioni pro-Gaza c'è chi non ha pregato o se lo ha fatto ha dato a questo gesto un significato simbolico più che religioso, ebbene nonostante tutti questi nonostante per molt* tutt* i/le migrant* partecipant* alle manifestazion* pro-Gaza divengono “fondamentalisti islamici”, tutte le manifestazioni di religiosità pericolose manifestazioni di fondamentalismo che minaccerebbe la “nostra” (e sottolineo nostra) laicità, tutte le migranti divengono “donne arabe”, sottomesse all'imam, al marito, al padre, al fratello, implicitamente vittime e magari complici del “fondamentalismo”, soprattutto se in testa hanno un foulard. Dovremmo sapere quanto pericolose sono certe generalizzazioni (stranamente meno praticate proprio dalle donne che si vivono il fondamentalismo direttamente sulla propria pelle, rinvio al sito di Women living under muslim laws e al saggio di Ruba Salih su femminismo e islamismo pubblicato nel volume Altri femminismi, trovate i link nel blogroll), ma dovremmo saperlo anche (e soprattutto) noi femministe "occidentali", lo abbiamo visto, ad esempio, in Francia, nel corso del dibattito sul cosiddetto “foulard islamico” (che Chiara Bonfiglioli definisce efficacemente “battaglia del velo”). Nella lettura dei fautori della legge per il divieto dei segni religiosi nella scuola pubblica, il velo diviene unicamente segno di oppressione, nonostante le sue valenze multiple tra le quali vi è anche quella fatta propria dalle giovani migranti dette “di seconda o terza generazione”: il velo come rivendicazione di autonomia culturale, in risposta al razzismo (e al sessismo) della società francese.

Non ripetiamo gli stessi errori, cerchiamo, finalmente, di guardare “al di là” di quello che vogliono farci vedere. Diversamente rischiamo, nostro malgrado, di contribuire a rinforzare la sporca battaglia di quant* vogliono leggere i conflitti in atto come “scontro di civiltà” e “guerra di religione”.

Non abbiamo nulla da spartire con partiti come Forza Nuova che , mentre solidarizza con “il popolo di Gaza” (leggi Hamas) sognando la distruzione di Israele (come Hamas), fomenta il razzismo contro i/le migranti agitando la bandiera della lotta al fondamentalismo islamico, aprendo campagne contro la costruzione di moschee e negando l'esistenza di un Islam moderato (come nei manifesti di Forza Nuova Toscana). Non abbiamo niente da spartire neanche con i fondamentalismi (tutti i fondamentalismi: islamico, cattolico, ebraico), ma neanche con le alleanze strette tra fondamentalismo cattolico ed ebraico contro il “comune nemico” (l'Islam).

Non abbiamo soprattutto nulla da spartire con quant* vogliono rimanere ciechi.

Nel giugno 1944, a capo di una delegazione del Comitato internazionale della Croce Rossa, Maurice Rossel ispezionò, con l'autorizzazione delle autorità tedesche, il campo di Theresienstadt, luogo di transito per migliaia di ebre* verso le camere a gas di Auschwitz, Sobibor, Belzec, Treblinka. Era dall'estate del 1942 che il Cicr cercava di ottenere informazioni sulle condizioni di vita e sulla sorte degli internati nel campo di Theresienstadt, ma quando l'autorizzazione arriva e Rossel si reca in visita nel campo egli è soltanto “un vivo che è passato e non ha visto”come scrive Federica Sossi alla sua postfazione a Un vivo che passa di Claude Lanzman. Rossel è cieco perché non riesce a guardare oltre, al di là della messinscena preparata minuziosamente per lui dai nazisti che avevano lavorato alacremente per mesi per “abbellire” il campo. Il resoconto della visita scritto da Rossel sarà utilizzato dal Ministero degli esteri tedesco durante una conferenza stampa nel luglio del 1944 per smentire le voci sulla sorte degli ebrei ...

Vogliamo veramente continuare ad essere dei vivi che passano?


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L'immagine è un'opera di Mona Hatoum, artista palestinese nata a Beirut. Lo scoppio della guerra civile in Libano le impedirà di ritornare nel paese d'origine, costringendola all'esilio.

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martedì 13 gennaio 2009

Strage di Castelvolturno: quando è camorra non è razzismo ...


La notiziola di oggi della rocambolesca fuga di Giuseppe Setola, uno dei boss della cosca dei “casalesi” capeggiata da Francesco Schiavone detto Sandokan, rischia di passare inosservata e allora spendo un po' di tempo per un post che mi da anche l'occasione di ritornare, con il mio assoluto non-tempismo, su un episodio di qualche mese fa.

A Giuseppe Setola è bastata una botola, poi una corsa di circa un chilometro lungo la rete fognaria e infine il furto di un'auto, pistola in pugno, per sfuggire all'arresto. Del super latitante, di cui a giugno era stato scoperto uno degli ultimi bunker-rifugio, si sono nuovamente perse le tracce. Giuseppe Setola è stato, tra l'altro, mente e mandante della strage di Castelvolturno del 18 settembre scorso: quella sera, un commando di almeno quattro killer massacra con 130 colpi di mitra alcuni cittadini migranti, all'interno di una sartoria e sul marciapiede antistante. Le vittime sono Kwame Yulius Francis, Samuel Kwaku e Alaj Ababa, del Togo, Cristopher Adams e Alex Geemes della Liberia e Eric Yeboah del Ghana. Un settimo uomo, Joseph Ayimbora, ghanese, viene ricoverato in condizioni gravissime. Sono tutti giovanissimi, il più “anziano” ha poco più di trent'anni. Nessuno di loro aveva precedenti penali o era coinvolto in attività di tipo criminale. Forse una delle vittime aveva “problemi di droga” come si suol dire, ma nessuno di loro era legato alla camorra locale né alla cosiddetta "mafia nigeriana", che poco lontano da lì, all'ex hotel Zagarella, gestisce la piazza dello spaccio e il giro di prostituzione di ragazze africane. Già in precedenza i /le migranti di Castelvolturno erano state vittime di pesanti intimidazioni: ad agosto, proiettili erano stati esplosi da due individui in motorino contro un caseggiato abitato in prevalenza da migranti ghanesi (ma gli episodi di violenza contro migranti, qui e nelle località limitrofe, non si contano, episodi che spesso non possono neanche essere denunciati, poiché la maggioranza dei/delle migranti è “clandestina). Ma nonostante questo, nonostante chi li conosceva abbia ripetuto fino allo sfinimento (tra le lacrime e le urla dei giorni di rivolta che seguirono la strage), che si trattava di “very innocent people”, Kwame Yulius Francis, Samuel Kwaku, Alaj Ababa, Cristopher Adams, Alex Geemes e Eric Yeboah sono stati subito bollati dalla stampa come delinquenti, spacciatori, uomini legati alla camorra locale e/o alla mafia nigeriana. Non si presta troppa attenzione al fatto, da alcun* rilevato, che probabilmente la strage di Castelvolturno è stato un “avvertimento” dovuto a un progetto edilizio sulla zona da parte della camorra, come a dire o sgombrate o .... Su queste morti cade il sospetto. Un sospetto tenace. Perché qui basta poco per essere diffamati : è un destino, questo, condiviso da tanti altri morti ammazzati di mafia e camorra. Se ti hanno ammazzato in qualche modo c'entravi. E così tante storie e tanti nomi finiscono nel dimenticatoio. I nomi di Kwame Yulius Francis, Samuel Kwaku, Alaj Ababa, Cristopher Adams, Alex Geemes e Eric Yeboah rischiano di fare la stessa fine. Il sospetto pesa come un macigno. Non è casuale che questi nomi non siano stati nominati nei volantini e negli slogan delle tante manifestazioni antirazziste degli ultimi mesi, o comunque non ne sono diventate delle icone, come è successo, tra gli altri, a Abdul William Guibre, ucciso a Milano a sprangate solo qualche giorno prima della strage di Castelvolturno. Siamo tutt* Abba, certo. Ma perché non (anche) siamo tutt* Kwame Yulius Francis, Samuel Kwaku Alaj Ababa, Cristopher Adams , Alex Geemes, Eric Yeboah” ...? La matrice comune degli omicidi di Castelvolturno e di quello di Milano sembra emergere con forza e chiarezza solo nelle scritte razziste, a firma Militia, che compaiono sui muri di Roma qualche giorno dopo la strage: “Milano -1, Castelvolturno -6” ...

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Per la foto rinvio qui, mentre un articolo in qualche modo correlato è Lontano da Gaza, tra Gomorra e CasaPound. Ma la ricerca è solo all'inizio.

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domenica 11 gennaio 2009

Vedi Napoli e poi muori. Ma non prima di aver visto Louise Bourgeois

Ho già detto tante volte che Marginalia è un blog "anomalo" (qualcun* suggerisce "fatto male"), non sto quasi mai "sulla notizia", come si dice in gergo. Diversamente avrei dovuto parlare già da qualche tempo della mostra dedicata a Louise Bourgeois al Museo di Capodimonte, anziché farlo oggi, a pochi giorni dalla chiusura (il 25). Avrei dovuto parlarne perché è una bella mostra, la prima dedicata a questa artista in Italia (e nella quale è possibile vedere anche alcune opere mai esposte prima).
Che i materiali morbidi e trasparenti e il tenero e delicato colore rosa di vagine, bocche, uteri, placente, corpi gravidi o in travaglio, mani e falli non vi ingannino: l'opera di Louise Bourgeois non è niente affatto rassicurante. E' anche sangue, carne, morte, rapporti umani ambivalenti e straziati. Il gigantesco ragno chiamato Maman che apre/chiude la mostra all'esterno del museo è li a ricordarvelo.
Come alle Tuileries il fascino della mostra è anche dovuto al contrasto ( e al dialogo) tra queste sculture contemporanee e le opere "antiche" della collezione permanente del museo: un bellissimo Caravaggio, Brueghel, Annibale Carracci ... e anche alcune tele di Artemisia Gentileschi e tra queste la celebre Giuditta e Oloferne. Guardando l'eroina biblica che sgozza il tiranno Oloferne salvando la città palestinese di Betulia, come non pensare, ancora una volta, a Gaza?
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mercoledì 7 gennaio 2009

Lontano da Gaza, tra Gomorra e CasaPound


Non posso parlare di Gaza, non ancora, o posso parlarne solo come Viktor Sklovskij ha parlato d'amore senza parlare d'amore in Zoo o lettere non d'amore ... Ma mentre scrivo gli uomini, le donne, i/le bambin* dilaniat* li ho davanti agli occhi ...
Per chi arriva in questi giorni a Napoli dalla stazione ferroviaria di Napoli Centrale non è possibile ignorare le centinaia di manifesti di CasaPound (per la casa, la giustizia sociale e la retorica strumentale di maggioranza e opposizione facce della stessa medaglia) . I manifesti sono affissi un po' ovunque, nell'adiacente piazza Garibaldi e giù per tutto corso Umberto, nonostante molti siano già stati strappati o ricoperti da altri manifesti, in specie funebri, perché da queste parti (dovrebbe essere notorio) si muore molto e i funerali solenni non si contano. Morti ammazzati a Capodanno come negli altri giorni, mort* di lavoro nei cantieri, al porto, nei laboratori ricavati nei sottoscala, donne ammazzate come nel resto d'Italia, mort* ammazzati* "apposta" o per sbaglio, per caso o fatalità, morti di camorra o di monnezza. Non la monnezza lasciata per le strade e che oramai fa tanto esotico (ho visto turist* fotografarla) ma quella tossica proveniente da tutta Italia, "intombata" per anni e anni nelle campagne qui intorno e che regala centinaia di tumori all'anno ... Un' altra manna per le agenzie funebri e non solo. Poi però girando per i vicoli, razzolando tra i libri nelle bancarelle di Porta Alba, tra una sfogliatella, una pizza da Michele, una frittatina in una friggitoria unta quanto basta di San Lorenzo (non necessariamente nell'ordine), di questi manifesti non se ne vedono affatto e mi sembra il minimo chiedersi perché. Saranno forse in poch* e il comitato accoglienza di CasaPound Napoli avrà ritenuto conveniente concentrare le forze in zona stazione ferroviaria? O piuttosto la concentrazione di manifesti in una sola zona è riconducibile alla non agibilità dei neofascisti in alcune zone e agibilità assoluta in altre? Ecco, qui mi manca tanto una bella mappatura della città, magari "incrociata" tra Gomorra (il riferimento è a Gomorra di Roberto Saviano, che aldilà del personaggio offre spunti interessanti) e CasaPound. Perché un legame tra queste "realtà", un legame quantomeno "ideale", c'è: durante i suoi numerosi arresti il boss della cosca del quartiere Sanità Giuseppe Misso - oggi pentito, autore qualche anno fa del volume I leoni di marmo e noto per essere da sempre vicino ai Nar e tra gli indagati per la strage dell’Italicus e quella della stazione di Bologna -, è sempre stato trovato in compagnia dei libri dei suoi autori preferiti, Julius Evola ed Ezra Pound ...

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Le mamme di CasaPound
CasaPound Superstar
CasaPound: il volto attraente dei nuovi fascisti
Ave Italo!
Chi è veramente CasaPound
Un Italo da rottamare